La dislessia non è sulla carta d’identità
Marta: «Ora sogno il dottorato»

«Ho dovuto affrontare tante difficoltà e pregiudizi ma alla fine tutte queste prove mi hanno reso più forte». Abbastanza da sognare un dottorato.

Un fiore nato in mezzo alle pietre è abituato a resistere alle intemperie, a sfidare la natura e la gravità con la sua bellezza e il suo profumo. Così è stato per Marta, dislessica, 22 anni, studentessa al corso magistrale di Scienze pedagogiche all’Università di Bergamo, dopo aver ottenuto la laurea triennale: «Ho dovuto affrontare tante difficoltà e pregiudizi ma alla fine tutte queste prove mi hanno reso più forte». Abbastanza da sognare un dottorato.

«Ho scelto l’invecchiamento come argomento della mia tesi di laurea – racconta –, perché ho svolto il tirocinio in una Rsa alla Fondazione Carisma di Bergamo. È un’esperienza che mi è piaciuta molto, l’avevo già sperimentata durante le scuole superiori, all’istituto Mamoli. C’è anche una parte filosofica di cui sono molto fiera, ho scelto di inserirla perché è una materia che mi appassiona molto, nonostante la difficoltà di consultare testi scritti con un linguaggio poco accessibile. Ho sofferto ma ce l’ho fatta. L’impegno alla fine premia sempre».

Marta ha scoperto di essere dislessica in prima media: «Sono stata adottata – racconta – e sono arrivata in Italia dall’India quando avevo poco meno di un anno. All’inizio gli insegnanti pensavano che le mie difficoltà di apprendimento fossero dovute a questo, ma non avevo avuto il tempo di apprendere un’altra lingua, la mia famiglia è qui e le mie prime parole sono state in italiano. Non mi sono neanche resa conto del passaggio, ero troppo piccola. Ho avuto qualche problema di salute all’inizio, sono stata ricoverata in ospedale diverse volte per curare alcune infezioni, contratte a causa di un diverso regime alimentare e al cambiamento di ambiente, anche questo, però, non c’entrava con il mio rendimento scolastico».

Ha vissuto le scuole elementari come un calvario: «Ho fatto tantissima fatica. Mi ricordo tante pagine strappate dai quaderni, tante note a margine con scritto “rifai”, gli errori nei dettati. Mia madre è un’insegnante, mi ha aiutato moltissimo, e in qualche modo me la sono sempre cavata. Oggi sono grata di quelle fatiche, hanno formato il mio coraggio e la mia tenacia, credo che se poi sono riuscita ad arrivare fino alla laurea sia stato anche merito di tutto quello che ho affrontato in passato».

Quando poi Marta si è ritrovata alle medie, le sue difficoltà sono aumentate: «Studiavo moltissimo, trascorrevo ore sui libri ma i miei voti erano sempre bassi, raggiungevo appena la sufficienza. Così i miei genitori hanno deciso di approfondire, ed è arrivata la mia diagnosi». Sono stati anni difficili: «Ero una ragazzina molto timida, non posso fare una colpa ai miei compagni per avermi emarginata o presa in giro. C’era molta ignoranza sulla dislessia, purtroppo, la gente tendeva a discriminarmi, confondendola con un ritardo mentale. Le compensazioni previste dal mio piano personalizzato erano considerate in modo negativo, come se mi impedissero di imparare come gli altri. Nonostante tutto mi sono sforzata di trovare una mediazione e andare avanti. Non credo nel conflitto con i docenti, ritengo che alla fine sia molto più utile la comprensione reciproca».

Al momento della scelta delle scuole superiori, Marta ha avuto qualche incidente di percorso, ha cambiato istituto ma non ha mollato. «Quando sono arrivata al diploma ero molto incerta. Non ho scelto subito di iscrivermi all’Università, temevo di non farcela. Avrei voluto prendermi un anno di pausa e andare all’estero come ragazza alla pari per imparare una lingua e mettermi alla prova, lavorando in un Paese diverso. Ho presentato domanda ma non mi hanno mai risposto, così, quasi per gioco, ho deciso di iscrivermi, senza sapere se ce l’avrei fatta, poi, però, ho preso l’impegno molto sul serio, come faccio sempre».

Come scrive Oprah Winfrey, celebre conduttrice televisiva americana: «Fai la cosa che pensi di non poter fare. Fallisci. Provaci ancora. Fai meglio la volta successiva. La sola gente che non cade è quella che non sale mai sulla corda tesa». Marta ci ha messo tutta la sua energia, il suo entusiasmo, il suo impegno:

: «Ho sempre cercato di non far pesare la mia condizione, dato che sono in molti a presentare un pdp (piano didattico personalizzato) ai corsi, qualche professore è un po’ scettico». Ha messo a punto metodi di studio personali: «Mi comporto in modo diverso con ogni materia: a volte registro le lezioni e le riascolto, in qualche caso preferisco trascrivere tutto.

Ci sono stati esami più difficili, come storia della filosofia: avevo preparato oltre cento mappe didattiche e poi è stato complicato anche solo leggerle tutte. Alla fine però ho avuto meno problemi di quanto pensassi. Ho seguito tutti i corsi, ho ripreso le slide, ho studiato una lezione alla volta, e alla fine ci sono riuscita».

Il tutor all’ Università I ragazzi con disturbi di apprendimento e con disabilità all’ Università di Bergamo possono contare su un servizio apposito, nel quale sono impegnati come tutor gli stessi studenti: «Il tutor è una persona che ti segue nel tuo percorso, ti aiuta per esempio a scegliere il piano di studi e il programma dei corsi, ti affianca negli esami, e in particolare nelle prove scritte, leggendoti il testo dei quesiti e aiutandoti a capire che cosa richiedono, poi ti danno una mano a organizzare il lavoro.

Sono studenti universitari come noi. Anch’ io ho avuto una tutor, una studentessa di psicologia, mi è stata di grande aiuto, mi ha permesso di affrontare gli ostacoli con serenità, perciò in seguito ho deciso di impegnarmi anch’ io in questo servizio, aiutando altri studenti come tutor. Mi sono anche candidata alle elezioni studentesche. Ho vissuto molto intensamente gli anni dell’ università».

Quando è arrivato il momento di scegliere l’ argomento della tesi di laurea, Marta ha ripensato al suo tirocinio alla Rsa di Bergamo: «Anche nell’ ultima fase della vita è importante impegnarsi per aiutare le persone a stare bene, perché almeno trascorreranno con serenità i loro ultimi tempi e moriranno felici. Abbiamo svolto molte attività, anche sperimentali come la pet therapy. All’ inizio la malinconia di conoscere, stare vicino agli anziani e poi vederli morire è molta, ma quando ero lì con loro non ci pensavo, cercavo solo di vivere quel momento, di essere d’ aiuto. Per questo ho deciso di scrivere la tesi partendo da questa esperienza forte. L’ ho messa a punto da sola, l’ ho pianificata, ho svolto il lavoro di ricerca dei materiali, di elaborazione e organizzazione del lavoro in modo autonomo, poi una compagna mi ha affiancato nel lavoro finale di revisione della scrittura.

Mi è piaciuto molto elaborare questa tesi, la mia relatrice mi ha dato tantissimi libri da leggere, ho chiesto aiuto a un altro docente per la parte filosofica, ho inserito alcune parti del pensiero di Hannah Arendt, di Simone de Beauvoir. Può sembrare una piccola cosa, ma così ho realizzato un mio piccolo sogno».

Marta ora è proiettata verso il futuro, senza avere più paura: «Ho diverse possibilità, sia in ambito educativo sia di assistenza. Vorrei cimentarmi in un impegno politico anche al di fuori del mondo universitario. Nei prossimi due anni studierò per ottenere la laurea magistrale, poi mi piacerebbe restare ancora un po’ all’ Università. Spero di poter svolgere il servizio civile occupandomi dell’ assistenza degli studenti con disabilità, mi piacerebbe molto e sarebbe un modo per mettere la mia esperienza a servizio di altri. Sarebbe bellissimo, poi, se uno dei miei professori mi scegliesse come assistente...».

Piccoli inconvenienti La dislessia nella sua vita ora resta sullo sfondo: «Pochi all’ università se ne sono accorti e io ho preferito evitare di parlarne. I miei appunti sono ben fatti e circolano moltissimo tra gli altri studenti, anche questa per me è una grossa soddisfazione. Non ho subito discriminazioni o pregiudizi, mi presento sempre ai colloqui con i professori preparata, dopo aver studiato, in modo da poter spiegare le mie difficoltà con cognizione di causa, non in astratto».

Ci sono piccoli inconvenienti ai quali la gente spesso non pensa, e che rendono più complicata la vita sociale dei dislessici: «Quando esco con gli amici e c’ è da dividere il conto del ristorante non riesco a svolgere i calcoli a mente. Mi imbarazza leggere in mezzo alla gente, anche soltanto il menù, finisco per scegliere sempre le stesse cose, così sono sicura».

Il giudizio degli altri Marta teme ancora il giudizio degli altri: «Tanti miei amici non sanno nulla. Se non sono certa di essere accolta e capita preferisco non dire niente. I miei genitori mi hanno sempre spronato ad andare alle conferenze, affrontare il problema, a informarmi. La cosa più importante, per me, è che la dislessia non definisce la mia identità: prima di tutto sono Marta, e poi, diverse posizioni più in basso, sono dislessica. Ci sono questioni più gravi, più importanti che capitano nella vita e poi aiutano a relativizzare. Non sempre vale la pena di irrigidirsi sulla fedeltà alle prescrizioni mediche e ai pdp, mentre magari non ci si occupa di aiutare i ragazzi a instaurare relazioni positive.

Credo che anche il ruolo dei genitori sia cruciale nel dare una direzione e un’ impostazione ai bambini, alla loro vita: quando sono piccoli si tende a proteggerli e loro a volte finiscono per sentirsi malati. Bisogna stare molto attenti alle etichette, ritrovarsele addosso fa male. Nel mio caso quando sono riuscita a trovare un modo personale per affrontare la situazione tutto è diventato più semplice, l’ orizzonte si è schiarito».

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