La grave eredità del Covid-19
«Danni a cuore e polmoni»

Indagare gli effetti del coronavirus sul corpo umano è fondamentale per capire come affrontare la Covid-19 nel modo più efficace. Tradotto: salvare vite.

Ecco perché i riflettori del mondo scientifico sono puntati sull’ospedale Papa Giovanni XXIII. Fin dalle prime fasi dell’emergenza i dati raccolti e archiviati dai medici sono serviti per fare luce su una malattia sconosciuta. In quelle settimane sono stati compresi molti «comportamenti» del virus: come si insinua nel nostro corpo, quali organi colpisce e con quale intensità. Se qui l’ondata è arrivata all’improvviso, e non si è potuto far altro che tentare di arginarla, grazie agli studi bergamaschi è stato possibile evitare il peggio là dove il contagio non si era ancora propagato.

Tra le tante indagini che verranno pubblicate prossimi mesi, una delle più attese dagli scienziati di tutto il mondo è la ricerca coordinata da Marco Rizzi, direttore delle Malattie infettive dell’ospedale Papa Giovanni XXIII. A inizio giugno nei padiglioni della fiera di Bergamo è iniziato il «follow up» su 2.172 pazienti che sono stati ricoverati negli ultimi mesi e ora sono a casa. Guariti dalla malattia, ma non sani. Perché le conseguenze che il virus lascia nel corpo umano sono serie e in molti casi possono essere anche permanenti. L’ennesima conferma che non siamo di fronte a una semplice influenza.

I risultati consolidati

Dopo aver analizzato i dati dei primi 765 pazienti l’equipe di Rizzi, composta da infettivologi, pneumologi, radiologi, fisioterapisti, cardiologi, endocrinologi, psicologi, ha continuato a raccogliere e ordinare l’enorme database con tutti i risultati degli esami eseguiti finora. I risultati si stanno consolidando: anche a tre mesi di distanza dall’avvio del progetto c’è la conferma il 30% dei dimessi continua ad avere problemi respiratori. Il 10% cardiologici. L’11% accusa ansia, nel 9% dei casi si manifestano criticità neurologiche che possono andare dal mancato ripristino di gusto e olfatto fino all’ictus. Possono persistere anche difficoltà motorie.

Le possibili correlazioni

I primi risultati della ricerca sono stati illustrati ieri mattina da Marco Rizzi durante il convegno «Curare come e per quanto? Efficacia dei trattamenti in tempo di Covid-19» organizzato a Bormio dalla dottoressa Emi Bondi, direttrice del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asst Papa Giovanni XXIII, e dal professor Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Psichiatria del Sacco di Milano. Rizzi conferma che «il progetto si sta avviando alla conclusione con l’analisi dei dati relativi a tutti i primi pazienti. Emerge una quota significativa di persone che ha ancora problemi, soprattutto respiratori, come era già emerso dalla prima fase dell’indagine. Ora ci interessa capire tutte le possibili correlazioni di questi dati, mettere a confronto le fasce d’età, la gravità dei casi, le malattie pregresse, tutta la storia clinica di questi pazienti».

Le risposte definitive sono già state anticipate all’Organizzazione mondiale della sanità. Saranno pubblicate nelle prossime settimane e potranno indicare la strada a molti ricercatori di tutto il mondo che stanno lavorando su possibili cure. È il motivo per cui Rizzi e la squadra vogliono analizzare ogni singolo aspetto con attenzione prima di ufficializzare gli esiti. «Sappiamo che c’è attesa e faremo il possibile per rispondere in tempi rapidi. Questo lavoro ci permetterà di ragionare ancora più a fondo sugli effetti del virus e ci metteranno in condizione di studiare risposte». Il follow up continuerà, anche se (per fortuna) da tempo al Papa Giovanni i pazienti ricoverati si contano sulle dita di una mano. Anche lo studio di questi ultimi casi, arrivati in coda all’epidemia, sarà importante per capire come combattere il virus. Meglio evitare false speranze: la strada è ancora lunga e occorreranno anni di ricerche approfondite.

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