La scoperta: tra gli effetti del coronavirus
sei tipi diversi di reazioni cutanee

Emerge da uno studio su duecento pazienti. Sena: «Dalla dermatologia un contributo importante».

La potenza distruttrice del Coronavirus colpisce anche la pelle. Un attacco del tutto nuovo, al punto che il Covid scatena ad oggi nei pazienti ben sei diverse tipologie di reazioni cutanee. E tra queste, almeno una fa scattare il campanello d’allarme, perché per il paziente si prospetta un decorso della malattia molto complicato.

È quanto emerge da uno studio condotto dall’Unità di dermatologia dell’Asst Papa Giovanni di Bergamo diretta dal dottor Paolo Sena, in collaborazione con una ventina di altre realtà italiane nell’ambito della Società italiana di Dermatologia, analizzando le manifestazioni cutanee comparse sui pazienti Covid dal primo marzo alla metà di maggio. Particolarmente prezioso l’apporto del nostro ospedale essendo, insieme al Policlinico di Milano, il più grande del gruppo. L’importanza della ricerca ha catturato anche l’attenzione del Journal of the American Academy of Dermatology, la più prestigiosa rivista scientifica americana di dermatologia, che potrebbe presto pubblicarne i risultati.

Dottor Sena, in base alla sua lunga esperienza qual è la particolarità del Covid sulla pelle?

«Prima del Covid i virus avevano sempre manifestato singole e specifiche eruzioni cutanee, ognuna con caratteristiche proprie ben definite. Studiando le manifestazioni cutanee in corso di Covid osservate su circa duecento pazienti, abbiamo verificato che il Coronavirus, al contrario, è il primo che provoca diverse reazioni: ad oggi ne abbiamo osservate ben sei, molto simili a quelle riscontrate in passato con altre malattie virali. Mediamente durano due-tre settimane e intervengono spesso in una fase tardiva della malattia».

Avete già un’idea del perché siano così tante?

«Per quanto analizzato sinora la spiegazione risiede nel fatto che quasi tutti gli effetti del Covid, sia sulla pelle sia su altri organi interni (esempio polmone), sono sempre un misto tra il danno che induce direttamente il virus e quello provocato dalla cosiddetta “tempesta citochinica” (perché indotta dalle citochine, molecole coinvolte nei processi infiammatori). È il motivo per cui, ad esempio, tra le terapie più usate per combattere il Covid c’è quella a base di cortisone, un forte freno sul sistema immunitario. Stiamo inoltre approfondendo altri studi per capire quanto incide la terapia farmacologica che i pazienti hanno seguito contro il Covid e non: la quasi totalità dei pazienti analizzati assume normalmente farmaci».

Ci spiega le sei reazioni sulla pelle provocate dal Covid?

«Alcune manifestazioni hanno più rilievo di altre perché segnalano una maggiore aggressività del virus. È il caso della vasculite (processo infiammatorio a carico dei piccoli vasi della pelle, causata da un’attivazione del sistema immunitario) che oltre a danneggiare maggiormente la pelle, è associata a un andamento generale della malattia più preoccupante. Altre manifestazioni cutanee sono simili alla perniosi (più conosciuta come geloni), orticaria, rash morbilliforme (tipo il morbillo), livedo reticularis (formano un reticolo violaceo sulla pelle, in particolare sugli arti inferiori), e la papulo-vescicolosa (simile alla varicella). Vedere un rash morbilliforme ci incoraggia a dire che il paziente avrà un decorso da Covid abbastanza tranquillo; meno tranquillo invece quello in cui si manifesta una vasculite».

La dermatologia è un’arma in più contro il Covid?

«In questo caso è ancor più necessario mettere in atto un lavoro multidisciplinare all’interno del singolo ospedale e una collaborazione tra i diversi ospedali nazionali e internazionali. La pelle è lo specchio dell’organismo: studiandola a fondo, tramite biopsie, il dermatologo può indirizzare in modo sempre più mirato i colleghi di altre specializzazioni su scelte importanti ed adeguate per il paziente. Creare una banca dati con quanto osservato sulla pelle dei malati Covid, soprattutto nelle aree geografiche come la nostra in cui la malattia ha imperversato, significa mettere a disposizione della comunità scientifica mondiale del materiale prezioso per conoscere e affrontare meglio il virus».

Come prosegue invece l’attività sui pazienti no-Covid ma che necessitano di altre tipologie di cure?

«Grazie anche alla collaborazione dei dermatologi del territorio, pur tra mille difficoltà abbiamo tenuto aperta la comunicazione con i malati oncologici (melanoma cutaneo e carcinomi della pelle), intervenendo nei casi più gravi e in tempi rapidi all’asportazione del tumore. Da quando abbiamo ricominciato quasi a pieno ritmo, stiamo registrando un aumento di casi di melanomi e carcinomi in fase avanzata: probabilmente molte persone, bloccate a casa prima dal lockdown e poi da una (giustificata) preoccupazione, si sono recate più tardi dal dermatologo. Di pari passo abbiamo dato continuità assistenziale ai pazienti con malattie croniche, trovando soluzioni per seguirli a casa, monitorando in particolare l’andamento di quelli affetti da psoriasi grave o dermatite atopica, perché molti sono soggetti a terapie immuno soppressive, quindi potenzialmente a rischio con il Coronavirus: i dati raccolti hanno però evidenziato che non ci sono stati particolari peggioramenti durante la pandemia. Ringrazio i miei collaboratori, che nella fase dell’emergenza sono stati impegnati direttamente nei reparti Covid ma hanno saputo contemporaneamente anche garantire la continuità dell’attività dermatologica».

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