«Le persone allergiche e asmatiche
sembrano più protette dal Covid»

Sulla rivista Allergy studio di un team di esperti italiani: tra questi Giuseppina Manzotti della casa di cura Beato Palazzolo e Alberto Tedeschi dell’ospedale Bolognini di Seriate.

Allergici e asmatici. Fra le categorie di cittadini più preoccupati di contrarre il coronavirus, ci sono coloro che soffrono di allergie e asma: patologie che influiscono sul sistema respiratorio, bersaglio (non unico) del virus Sars-CoV-2. E difatti, nel clou della pandemia, gli allergologi italiani sono stati subissati di telefonate.

«I miei pazienti mi chiamavano allarmati: sono asmatico, corro molti più rischi? Mi chiedevano tutti. Adesso possiamo rispondere con una certa sicurezza. No: i soggetti allergici, che si stima rappresentino il 30% della popolazione italiana includendo anche la quota di asmatici, non corrono più rischi. Anzi. Sembrano essere più protetti». A parlare è Giuseppina Manzotti, specialista in Allergologia e immunologia clinica della Casa di cura Beato Palazzolo di Bergamo: Manzotti, insieme a un team di esperti italiani che include anche il primario di Medicina generale dell’ospedale Bolognini di Seriate Alberto Tedeschi, ha collaborato a uno studio recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale «Allergy».

Il lavoro, retrospettivo, ha analizzato le cartelle cliniche di 531 pazienti (di cui circa 300 bergamaschi) positivi al Covid-19 ricoverati in ospedali di tutta Italia: si tratta, in tutti i casi, di pazienti allergici, e con le allergie più diverse, da quelle respiratorie a quelle alimentari. Ebbene, dalla ricerca è emerso che nessuno dei 531 soggetti studiati ha sviluppato forme gravi di coronavirus, e che nessuno di loro ha perso la vita per via dell’infezione. «Significa che contrariamente a quanto si poteva pensare, chi soffre di allergia ha una lieve protezione in più nei confronti del coronavirus – spiega Manzotti –. Inizialmente si credeva che i soggetti allergici potessero correre più rischi, invece dal nostro studio si evince l’opposto: rischiano meno. Attenzione, bisogna essere molto chiari: tutti i cittadini, indistintamente, allergici o non allergici, possono ammalarsi e contagiarsi. Ma riteniamo che i soggetti allergici sviluppino forme meno gravi di malattia e abbiano una ripresa più rapida». A questo punto resta da capire perché. Perché chi è allergico ad acari, betulle, pelo di cane, gatto o qualsiasi altra sostanza (nello studio sono stati esclusi solo soggetti allergici ai farmaci e soggetti con intolleranze alimentari, altra categoria) è più protetto. «Per semplificare molto, potremmo dire che la risposta infiammatoria di questi pazienti non è così drammatica come in altri ammalati, poiché è già orientata verso l’allergia. L’infiammazione allergica fa quindi da protezione nei confronti della tempesta infiammatoria tipica dei casi gravi di coronavirus, impedendo il rilascio incontrollato di citochine, sostanze attivatrici del sistema immunitario».

Una scoperta, quella a cui sono arrivati gli esperti, che pur non rappresentando una vera arma in più nella lotta al Covid-19, costituisce una rassicurazione di grande peso. E, soprattutto, è in grado di offrire indicazioni preziose per i medici di base. «Nella prima fase dell’epidemia ai soggetti fortemente allergici o asmatici si raccomandava quasi di non andare al lavoro, pensando fossero fra le persone più a rischio, fra i pazienti potenzialmente più fragili e da difendere di fronte a un potenziale contagio. Adesso sappiamo che non è così, anzi».

Una consapevolezza che, secondo i primi studi, sembra valere anche per i soggetti affetti da forme molto gravi di asma. «Si tratta di una percentuale fra il 3 e l’8% di tutta la popolazione asmatica. E abbiamo rilevato che, anche per queste persone, il decorso della malattia Covid-19 non è aggravato dalla patologia di partenza. Sono stati studiati sette casi, di cui uno bergamasco: e in nessuno di questi pazienti contagiati gravemente asmatici si è dovuto far ricorso a terapia intensiva o caschetti cpap, poiché semplicemente non hanno sviluppato forme così gravi di infezione».

Attualmente Giuseppina Manzotti, insieme a un ampio team di colleghi, sta studiando anche il legame fra lesioni cutanee e orticaria paravirale correlate al Covid-19: presto arriveranno i risultati dello studio che, ancora una volta, parla bergamasco.

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