Mamma di quattro figli, sola e medico
«Piango e la scuola non è emergenza»

«Cara scuola, sono giorni che ci penso. Quale è la differenza fra una priorità e un’emergenza? La scadenza. Improrogabile nel secondo caso, non nel primo». Inizia così la lettera di una mamma di quattro figli, dottoressa bergamasca.

«Sono medico e mamma separata di 4 ragazzi preadolescenti. Nella vita lavoro con i tossicodipendenti, in carcere. Per questa emergenza sono stata richiamata in ospedale a coprire turni nei reparti adibiti a gestire i malati (anziani, giovani, pluripatologici e non) sfortunati, colpiti dal virus e affetti da questa potenzialmente letale patologia chiamata Covid 19. Non temete – ci hanno detto al corso – di non esserne all’altezza. Se non ci foste voi al letto di questi pazienti, morirebbero soli. E così eccomi là. È un’emergenza».

«Al rientro a casa, ogni sera, con le lacrime agli occhi, racconto cosa ho visto ai miei 4 figli. Sono a casa da scuola, loro, 4 scuole diverse per ordine e grado. Son ragazzi in gamba, intelligenti, sensibili. Ma non perfetti. E a casa, da soli tutto il giorno, faticano ad organizzarsi fra tablet, computer e smartphone: caricare programmi, capire dove a che ora con quale professore collegarsi in video lezione (che si sovrappongono), eseguire esercizi mai fatti, ricerche, power point. E si distraggono, certo, giocano, chiacchierano, chattano, litigano. Così l’altro giorno glielo ho ritirato quel maledetto telefono e l’ho portato come me al lavoro. (Nooooo!!? Li ho lasciati senza orari, codici, contatti). Compiti che non si possono rimandare, perché ogni compito ha una scadenza!».

«Una di loro ha una diagnosi di ritardo mentale. Lieve. Quando tutto è iniziato era in stage. Ora i compiti che deve consegnare sono quelli di tutti gli altri. Senza facilitazioni. Senza spiegazioni, ma con una scadenza. È guarita???»

«Ho così cercato una soluzione:

1 – I nonni. Li accudiscono, preparano loro i pasti ma non possono nemmeno ospitarli perché non hanno la tecnologia adeguata a devono restare isolati.

2 – Una baby sitter. Certamente: giovane, che sappia gestire 4 ragazzi, che sia abile con le piattaforme digitali, che abiti vicino e che non abbia paura di contrarre il coronavirus. Non esiste.

3 – Prendo un periodo di ferie. Non posso. Non sono anestesista, è vero. Ma in quel mio turno, quel malato con fame d’aria, dipende unicamente da chi come me è li accanto a lui e ha la possibilità di chiamarlo l’anestesista quando peggiora. E quel giorno, quando sarò a casa ad aiutare i miei figli a fare i compiti per poter rispettare le scadenze, spero in quel letto ci sia questa scuola.

4 – Tornata al passato e avere un figlio unico. Per fortuna non è andata così. Vorrei così ricordare alla scuola, e a chi questa scuola fa ed è, che non siamo a casa in vacanza. È un’emergenza e dietro ad ogni alunno vi è una storia. La nostra è solo una di queste. Forse una tra le più allegre perché qualcun altro avrà sicuramente un genitore ricoverato in terapia intensiva e credo abbia il diritto di vivere la paura di perderlo nella massima libertà. Vi prego pertanto di ripensare, anzi eliminare le scadenze e vi auguro di ritrovarvi tutti tra i banchi di scuola, al rientro».

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