Mamma e figlia, una «camelia rossa»: unite da un filo delicato e molto raro

Casnigo, la storia di Melany e Clara: a entrambe è stata riscontrata una sindrome rarissima. «Ma questo non ci ha tolto il sorriso».

La camelia rossa è simbolo d’amore incondizionato e di speranza; i suoi petali sono delicati e morbidi come la seta. È di una straordinaria bellezza, ma soprattutto la «Middlemist camellia» è estremamente rara, ne esistono solo pochi esemplari al mondo, e questo la rende ancora più preziosa. Clara ha sei anni, vive a Casnigo con la sua famiglia ed è anche lei rara: nella sua vita si è verificata una coincidenza unica. È nata con la sindrome amartomatosa del gene PTen e con la Beckwith Wiedemann, entrambe patologie poco frequenti, che è quasi impossibile trovare in contemporanea. «Quasi» sorride Melany Guerini, la sua mamma, che ormai ci ha fatto l’abitudine, perché nonostante questo Clara è una bambina allegra, sempre sorridente, non ci sono ombre nella sua vita. Camminando insieme, un passo alla volta, hanno imparato che essere una «camelia rossa» non le obbliga alla tristezza né alla solitudine, anzi, a volte finisce per regalare opportunità inaspettate.

Quelle «sfumature»

Anche la mamma ha una storia particolare ed è «rara» a modo suo; per di più l’ha scoperto solo di recente, proprio grazie alle analisi eseguite per aiutare la sua Clara: «Quando sono rimasta incinta – racconta Melany – facevo riferimento all’ambulatorio per le gravidanze a rischio dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, perché sono affetta da artrite reumatoide, l’ho scoperto quindici anni fa e da allora mi sto curando. Gli esami prenatali non avevano fatto emergere particolari anomalie, anche se a un certo punto ci hanno detto che Clara era un po’ più grossa rispetto ai percentili dello sviluppo del feto. Il parto è stato prematuro, intorno alla trentaseiesima settimana, ma sembrava tutto a posto: Clara pesava 2,6 chili. È stata ricoverata in Patologia Neonatale, ma solo per una settimana. C’erano, però, alcune “sfumature” che mi avevano causato un po’ di inquietudine, come il piccolo angioma che aveva sopra un occhio».

Come scrive Nicholas Sparks «Un dettaglio, anche il più insignificante, può cambiarci la vita in un attimo». Alcune parole, in particolare, sulla lettera di dimissioni, avevano spinto Melany ad approfondire: «C’era scritto che mia figlia aveva una lingua sporta da macroglossia, una parola che non conoscevo. Avevo notato che a volte, ma non sempre, teneva la lingua fuori», ma poteva anche sembrare una smorfia da neonato. «Ho consultato molti pediatri – continua Melany –, ma senza essere soddisfatta di ciò che mi dicevano. Cercando sul web ho trovato subito la sindrome di Beckwith Wiedemann, di cui non avevo mai sentito parlare. Ho controllato i sintomi, e Clara ne manifestava diversi. Abbiamo pensato quindi di insistere nelle indagini ed è così che ho incontrato la dottoressa Anna Cereda, che ora è la nostra genetista di fiducia, ed è arrivata come un faro nella notte che ci avvolgeva. Come prima cosa l’ha misurata, e così siamo arrivati alla diagnosi. La nostra bimba a quel punto aveva quasi due mesi».

L’associazione Aibws

La genetista ha spiegato a Melany e a suo marito Massimo in che cosa consisteva la malattia della figlia: iperaccrescimento, macroglossia (lingua più grande), dismetria degli arti, ed emi-ipertrofia (una parte del corpo di dimensione diversa rispetto alla speculare); in età pediatrica aumenta l’incidenza di patologie tumorali. «Ci ha suggerito lei di metterci in contatto con l’associazione (www.aibws.org ). Ricordo ancora la prima telefonata con la referente, Monica Bertoletti. Ascoltare la sua storia è stato illuminante per me. Ha una figlia di 17 anni con la Beckwith Wiedemann e ha dovuto crescerla in un momento in cui c’erano pochissime informazioni su questa sindrome. All’inizio anche noi ci sentivamo smarriti, preoccupati, e così poter parlare con altre famiglie nella nostra stessa situazione ci ha aiutato moltissimo. L’associazione, che in Italia segue circa 250 famiglie, da quel momento ci è sempre stata vicina, e allo stesso modo anche noi abbiamo cercato di offrire il nostro contributo. Abbiamo partecipato anche a una maratona Telethon per raccontare la nostra storia. Periodicamente ci incontriamo: abbiamo stretto tante nuove amicizie sparse per l’Italia e per il mondo, creando un gruppo affiatato. Per un certo periodo ho fatto parte anche del consiglio direttivo. Penso che sia molto importante poter aiutare gli altri».

Nel frattempo la situazione di Clara si è stabilizzata: «Non c’è stato bisogno di operarla, né di sottoporla a trattamenti di logopedia. Ha una gamba più lunga di un centimetro rispetto all’altra, una differenza minima, quasi fisiologica. A un certo punto la dottoressa Cereda, però, ha notato qualche particolare che non tornava. La circonferenza della testa, per esempio, è un po’ più ampia rispetto alle misure di riferimento per la sua età. A due anni e mezzo, poi, ha dovuto subire un intervento per l’asportazione di un lipoma. Così, con sensibilità e attenzione, sulla base di questi nuovi «dettagli» la genetista ci ha invitato a compiere una nuova ricerca, coinvolgendo anche noi genitori. Così è emersa la positività alla seconda sindrome amartomartosa del gene P-Ten, e ho scoperto di averla anch’io. Una notizia difficile da accettare, per entrambe. Da un lato mi sono sentita più vicina a mia figlia, dall’altro a quarant’anni mi sono ritrovata dall’altro lato della barricata. Fra l’altro se la Beckwith Wiedemann (Bws) colpisce una persona ogni quindicimila, la PTen una ogni 200 mila, e credo che nella letteratura medica l’abbinamento di queste due particolarità, che si ritrovano in mia figlia, sia rarissimo, se non addirittura unico. Questa seconda sindrome provoca un’incidenza di patologie tumorali più alta del normale, e finora sono stata fortunata, perché in me non ha prodotto conseguenze». Intanto Melany ha avuto un secondo figlio, Achille, che ora ha due anni: «Ci hanno detto che la mutazione genetica di Clara è casuale, né io né mio marito ne siamo portatori, perciò non ci siamo preoccupati che potesse ripetersi. Infatti Achille fin dai primi esami genetici è risultato perfettamente sano».

I sintomi di Clara sono lievi: «Siamo stati fortunati, alcuni bambini nascono con dismetrie forti tra i due lati del corpo, che devono essere corrette chirurgicamente. I rischi legati alla Bws, almeno nel caso di mia figlia, con la crescita si riducono, ma la P-Ten purtroppo ci costringe a mantenere alta l’attenzione, perché col passare del tempo le possibilità di riscontrare nuove patologie aumenta. Abbiamo dovuto quindi aggiungere una nuova routine di controlli sanitari, che questa volta ci riguarda entrambe».

L’associazione Aibws è un punto di riferimento costante: «Ci aiuta a trovare i lati positivi di questa situazione – osserva Melany –. Mi dico spesso, per esempio, che i continui contatti con l’ambiente sanitario forse susciteranno in mia figlia nuove curiosità, il desiderio di sapere, di scoprire. Forse deciderà in futuro di studiare medicina o di diventare lei stessa una ricercatrice. A scuola già mi dicono che è molto sensibile ed esprime una solidarietà particolare verso i bambini che convivono con fragilità o difficoltà. Dovendola portare spesso in ospedale sono sempre stata diretta e sincera, le ho sempre parlato apertamente di tutto. Viene con me agli incontri dell’associazione. Clara è timida, non dà fiducia a tutti ma con la dottoressa Cereda ha un bellissimo rapporto. Mi aspetto che un giorno, quando sarà più grande, mi faccia anche domande “scomode”, nel frattempo cerco di farle vivere la situazione con la massima serenità e naturalezza possibile». Clara sa di essere «speciale»: «Conosce altri bambini con situazioni particolari come la sua. Le ho mostrato che ho il simbolo dell’associazione tatuato su un braccio: è un sole, perché il motto è “la vita è come uno specchio, ti sorride se la guardi sorridendo”, e noi cerchiamo di prendere tutto con questa filosofia. Ci sono a volte mamme che hanno difficoltà ad aprirsi, io cerco di parlarne schiettamente anche perché vorrei che tutti conoscessero meglio questa sindrome e non dovessero affrontare lo spaesamento e la solitudine che abbiamo sperimentato noi».

La pandemia

La pandemia, fortunatamente, non ha portato particolari scossoni nella vita di Clara e Melany: «I controlli sanitari non sono così serrati. Certo, sono saltati tutti gli incontri dell’associazione che per noi rappresentano una boccata d’ossigeno; è come una grande famiglia, in cui scambiarsi consigli e trovare appoggio nelle difficoltà quotidiane, ed è questo che ci manca di più. Attendiamo con ansia la possibilità di poterci riabbracciare. Abbiamo proseguito online gli incontri di supporto per i genitori con diversi specialisti, fra i quali anche uno psicologo, a disposizione per aiutarci a gestire le difficoltà dei nostri figli. Come soggetti fragili siamo già stati vaccinati e se non ci facciamo condizionare da una sindrome rara neanche un virus lo può fare». Melany cerca di offrire a Clara più opportunità possibili per farle capire che la vita è bella anche con due sindromi rare: «Avevamo prenotato un viaggio a Eurodisney, a Parigi, e abbiamo dovuto rimandarlo, ma partiremo appena sarà di nuovo possibile. È giusto che Clara abbia le stesse possibilità degli altri bambini, nonostante le sue difficoltà. Ci auguriamo che quello che ha dovuto affrontare l’aiuti ad avere una marcia in più nella vita, per affrontare le difficoltà con un’energia diversa. Sei anni sono passati tra alti e bassi ma sempre pieni di gioia e se penso al nostro futuro, con molto ottimismo, continuo a vederlo bello. La nostra speranza è la ricerca, noi ci crediamo, anche con l’associazione ci impegniamo molto su questo versante: speriamo che porti a tutti quelli che hanno questa sindrome rara una vita più semplice».

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