«Plasma iperimmune sicuro ed efficace»
L’Avis risponde con 1.600 donatori

Una delle armi utilizzate nella lunga guerra al coronavirus ha la sagoma morbida di una sacca di sangue con gli anticorpi irrobustiti. Sin dal principio dell’emergenza Sars-Cov-2 l’impiego del plasma iperimmune è stato inserito fra le migliori strategie applicabili nella cura delle persone colpite: si è fatta largo in fretta l’idea di utilizzare, nella lotta al virus, il plasma di chi il virus l’aveva sconfitto, in quanto carico di anticorpi capaci di bloccarne la diffusione.

Di questo e di altri aspetti legati alla prima e alla seconda ondata della pandemia si è parlato a lungo venerdì sera in un incontro online organizzato da Soroptimist (club di Treviglio e di Bergamo, che hanno a capo Paola Maria Negrini e Ivana Suardi) e Avis regionale e provinciale. I cui rispettivi presidenti, Oscar Bianchi e Artemio Trapattoni, hanno introdotto il tema sottolineando l’importanza della donazione e il ruolo vitale giocato dalla Lombardia – 500.000 unità di sangue raccolte in un anno in regione su un totale di 2 milioni in Italia, praticamente un quarto – e dalla provincia di Bergamo, con le sue 157 sezioni comunali fatte di 36.000 avisini quanto mai attivi.

«Da sempre il plasma iperimmune è utilizzato nei periodi critici delle grandi epidemie», ha ricordato la dottoressa Anna Falanga, direttrice dell’Unità di immunoematologia e medicina trasfusionale dell’ospedale Papa Giovanni XXIII e del dipartimento interaziendale di medicina trasfusionale delle provincia di Bergamo. «Se ne fece ricorso già nel 1880 ai tempi della difterite passando poi per poliomielite, spagnola, ebola e altre ancora: quindi è apparso subito un ottimo candidato anche al trattamento del Sars-Cov-2».

Va detto che, in proposito, si sono poi succedute analisi sulla sua efficacia, con qualche risultato contrastante o comunque degno di approfondimenti: «Ci sono stati casi privi di miglioramenti clinici significativi, o anche indicazioni piuttosto variabili sulla durata dell’iperimmunità. Ma innanzitutto i trials ci hanno confermato che l’impiego del plasma è sicuro e senza effetti collaterali; ed è per lo più emerso un impatto positivo, con riduzione della mortalità, aumento delle funzioni respiratorie e miglioramento degli indici infiammatori».

Fin dai primi giorni

E dunque l’utilizzo del plasma iperimmune è subito divenuto oggetto di particolare attenzione sin dai giorni della prima ondata, come ha spiegato la dottoressa Barbara Giussani, responsabile della Unità di Raccolta dell’Avis provinciale di Bergamo.

«La scorsa primavera i nostri donatori quasi scalpitavano per partecipare alla raccolta, anche in virtù di una forte spinta mediatica. Abbiamo così deciso di convogliare questo impulso altruistico in un’iniziativa ad ampio respiro, sorretta da standard fondamentali quali sicurezza, qualità ed efficacia».

Tre le finalità del progetto avviato concretamente ad agosto: il reperimento dei donatori, capaci di soddisfare i requisiti necessari a una raccolta destinata a utilizzi sia clinici che farmaceutici; la valutazione epidemiologica sulla popolazione dei donatori; la diffusione della cultura della prevenzione. «Abbiamo riscontrato un’alta percentuale di adesione, quasi 1.600 donatori Avis reclutati fra agosto e dicembre, di cui 138 sono risultati iperimmuni. Ciò conferma la generosità di persone in cui questa pandemia ha rafforzato, o magari risvegliato, la volontà di rendersi utile. È poi emerso che, fra chi ha declinato l’invito, il timore principale era quello di risultare positivo al tampone e dunque ritrovarsi sottoposto alle complicazioni della quarantena».

Al di là della sua efficacia immediata sul fronte terapeutico, comunque, il plasma resta uno strumento fondamentale messo a disposizione della ricerca. «In Italia – ha concluso la dottoressa Giussani – si stanno portando avanti parecchi fra studi e progetti sull’argomento, destinati ad avere una forte valenza scientifica. E di conseguenza la donazione è il primo passo da compiere su questo percorso».

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