«Plasma iperimmune, terapia efficace»
Avanti con il progetto sperimentale

L’intervista ad Anna Falanga, primario di Immunoematologia e Medicina trasfusionale al Papa Giovanni XXIII. «Dal 20 aprile raccolte un centinaio di unità, a beneficio di 15 pazienti. Il progetto sperimentale proseguirà».

I risultati sono «molto soddisfacenti»: pazienti acuti dipendenti dalla somministrazione di ossigeno migliorano fino alle dimissioni. Dal 20 aprile, quando l’ospedale Papa Giovanni XXIII ha aderito allo studio promosso dal San Matteo di Pavia sull’efficacia in pazienti affetti da Covid-19 del plasma di donatori guariti (plasma iperimmune da convalescente), che hanno sviluppato gli anticorpi specifici anti Sars-CoV-2, sono state raccolte un centinaio di unità di plasma iperimmune in tutta la Bergamasca. E una quindicina di pazienti ne hanno beneficiato. Ma c’è di più: il plasma da convalescente, spiega la direttrice del reparto di Immunoematologia e Medicina trasfusionale del Papa Giovanni, Anna Falanga, è una risorsa preziosissima «anche per affrontare preparati e con un’arma in più un’eventuale nuova epidemia: lo si può infatti congelare e usare a tempo opportuno, oltre al fatto che avremo la possibilità che gli anticorpi siano purificati a livello industriale e ritornino agli ospedali sotto forma di farmaci».

Dottoressa Falanga, a che punto siamo con il vostro progetto sul sangue iperimmune?

«Anzitutto c’è da dire che si tratta di un progetto che si sta espandendo a macchia d’olio. La terapia con il plasma da convalescente non è idea nuova, ma percorsa nelle malattie virali da molto tempo: si tratta ottenere gli anticorpi da chi li ha già formati per trasferire questa immunità in maniera passiva a chi sta combattendo con la malattia. Offrire tale possibilità è molto importante quando compare una grave epidemia da un virus del tutto nuovo, in attesa che vengano disponibili terapie specifiche o siano trovati vaccini per la prevenzione. È un approccio che può fare da “ponte” nell’emergenza, ma che può avere in prospettiva un ruolo anche nella prevenzione. Tale approccio ha naturalmente i suoi limiti, a cominciare in primis dalla disponibilità della risorsa principale, cioè il paziente guarito convalescente, che può non essere reperibile nel momento del culmine dell’epidemia. Occorre inoltre che il paziente-donatore abbia un’età tra i 18 ed i 67 anni, non sia portatore di altre malattie virali, sia guarito dalla malattia da nuovo coronavirus (Covid-19) da almeno 15-20 giorni, abbia eseguito due tamponi consecutivi negativi, a 24-48 ore l’uno dall’altro, e sia negativo a tutti gli esami a cui viene da noi sottoposto prima della donazione. Inoltre deve avere una adeguata concentrazione di anticorpi contro il virus».

Quanti, tra chi si candida a donare plasma iperimmune, non sono idonei?

«C’è una percentuale tra il 15 ed il 20 per cento che non risulta idoneo alla donazione. Proprio per questo è importante impegnarsi in momenti come questo, in cui l’epidemia si è calmata e vi sono fortunatamente molti soggetti guariti e convalescenti, ricercare e valutare quanti più volontari è possibile per la donazione di plasma iperimmune. A questo proposito occorre dire una cosa molto importante».

Quale?

«Il fatto che io dica che il plasma iperimmune è una risorsa semplice, non significa che sia “povera”. Si è sparsa la voce che il plasma costa poco, per cui qualcuno starebbe speculando su questo. La plasmaferesi, è una procedura nota a tutti i donatori di sangue e di plasma, ma affinchè sangue o plasma siano idonei ad essere trasfusi ad altri soggetti sono necessari numerosi passaggi di lavorazione e di validazione, inclusi esami di laboratorio, dietro ai quali vi è il lavoro di medici, biologi, infermieri, tecnici di laboratorio, amministrativi. Tutto questo lavoro, svolto nei Centri Trasfusionali, viene fatto, uguale, anche per il plasma iperimmune ed è indispensabile per avere un prodotto finale qualificato e certificato per essere somministrato ai riceventi. A chi dice che il plasma costa poco, rispondiamo che invece per arrivare a un’unità di plasma valida e sicura c’è un mondo di attività, che ovviamente ha i suoi costi. A questo proposito ci sarebbero altre precisazioni da fare».

Prego, spieghi pure.

«Il fatto che una parte di plasma subisca dei processi a livello industriale, non significa che qualcuno lo venda all’industria farmaceutica. Ci tengo a spiegarlo, perché negli ultimi tempi si è diffusa una falsa informazione su questo, molto dannosa. L’intervento dell’industria farmaceutica è richiesto quando si vogliano produrre su ampia scala dei prodotti derivati dal plasma, in questo caso le immunoglobuline isolate e concentrate, per trasformarle in preparati farmaceutici (es. fiale), che tornano agli ospedali e sono una grande risorsa. Non c’è alcuna speculazione su questo, va detto per rispetto ai donatori e ai professionisti che lavorano: pertanto oltre a curare i pazienti ancora affetti da Covid 19, il plasma iperimmune che avanza sarà conservato nei nostri congelatori, e inoltre potrà anche essere frazionato a livello industriale, ritornando ai nostri ospedali sotto forma di fiale o polverine. Nulla del plasma iperimmune andrà perso, ma andrà custodito per future necessità».

Il progetto del plasma iperimmune era stato presentato come progetto sperimentale. Ha quindi una fine, una scadenza?

«Il progetto sperimentale riguarda la cura dei pazienti ricoverati, che per fortuna diminuiscono di giorno in giorno, e proseguirà ancora nei prossimi mesi. Vi sarà anche un nuovo progetto sperimentale a livello nazionale al quale aderiremo. Vi è comunque da menzionare anche il progetto regionale, che coinvolge tutti i dipartimenti trasfusionali, che si prefigge di bancare quanto più plasma iperimmune da convalescente è possibile. Naturalmente, finché avremo donatori volontari con anticorpi in concentrazione elevata, noi cercheremo di prelevare il più possibile. Stiamo facendo tutti gli sforzi per mettere la nostra struttura nelle condizioni di accogliere tutti i donatori che lo vorranno e siamo molto contenti che, quando abbiamo lanciato l’appello a donare, tutti hanno risposto in maniera positiva».

Quanti donatori avete avuto finora?

«Centinaia di persone ci hanno contattato. Il nuovo indirizzo e-mail dedicato è [email protected] : stiamo facendo il massimo per arruolarne il maggior numero, e ciò è possibile anche presso i Centri Trasfusionali degli Ospedali di Seriate e di Treviglio. Abbiamo iniziato il 20 di aprile e finora sono state raccolte, in totale circa un centinaio di unità, di cui quelle infuse sono andate per il momento a 15 pazienti, con ottimi risultati, tutti dimessi o in via di miglioramento».

I risultati di questo programma saranno poi pubblicati?

«Certamente. Tutti i risultati scientifici devono essere pubblicati. Colgo qui l’occasione per ringraziare la fondazione ARTET attiva nella ricerca su trombosi, emostasi e tumori e in particolare Roberta Sestini e Giovanna Bosatelli che stanno supportando questi progetti. Ringrazio inoltre tutto il personale del Centro Trasfusionale per il grande lavoro che sta facendo per questo progetto».

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