Sì agli allenamenti ma solo all’aperto
Sport di contatto, ecco chi parte e chi no

Allenarsi si può, ma solo all’aperto. E, sempre in spazi aperti, si può svolgere anche una preparazione di squadra, purché vengano rispettate tutte le precauzioni e il distanziamento del caso.

Niente da fare, invece, per palestre, piscine e locali comunque chiusi, visto che viene vietato fare attività indoor; idem per le tensostrutture, serrate per legge: il che significa che, per fare un esempio, ora si può giocare a tennis, ma soltanto in versione open.

Lo dicono chiaramente le faq pubblicate dal Dipartimento dello sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in risposta ai quesiti sollevati dai vari commi dell’ultimo Dpcm, non proprio chiarissimi ed esaustivi. «Le attività motorie e di sport di base – si legge nelle precisazioni – possono essere svolte presso centri sportivi e circoli all’aperto, fermo restando il rispetto del distanziamento sociale e senza alcun assembramento». E ancora: «Gli allenamenti per sport di squadra, parimenti, potranno svolgersi in forma individuale, previo rispetto del distanziamento… Non è quindi possibile fare partite di allenamento o altre attività che prevedono o possono dar luogo a contatto interpersonale ravvicinato, ma è possibile l’allenamento individuale come attività motoria».

Chi parte e chi no

Insomma, chi vorrà provare a riaccendere il motore potrà farlo, seppur con tutte le incognite del caso. Perché una situazione già complicata richiede ora parecchie attenzioni in più: «Premesso: questo tiramolla lascia abbastanza basiti tutti quelli che si impegnano nel mondo dello sport dei dilettanti», dice Antonio Fallarino, il dirigente responsabile del settore giovanile del Caravaggio. «Comunque sia ci stiamo riorganizzando, perché l’intenzione è quella di ripartire. Ma prima dobbiamo capire con i nostri tecnici come impostare il lavoro sul campo, molto diverso dall’allenamento in forma classica. E poi vogliamo confrontarci con tutti i genitori, attraverso una serie di riunioni on line che possano mettere tutti al corrente della situazione». La società della Bassa ha già pagato dazio all’emergenza Covid: «La prima squadra (che milita in serie D, ndr) e poi anche una formazione giovanile hanno avuto un caso di positività e dunque gli interi gruppi sono stati posti in quarantena. Questo è un rischio di cui tutti devono avere coscienza: perché è giusto invocare la possibilità di fare attività fisica, ma le complicazioni non mancano di certo».

Restando al calcio, comunque, ci sono anche società che per ora preferiscono non uscire dai box. Un po’ perché intanto il Comitato Regionale Lombardia ha annunciato ufficialmente che i campionati riprenderanno a febbraio, e dunque di fretta proprio non ce n’è; e poi perché la situazione generale resta comunque tutt’altro che fluida. Si prenda il caso di Albino, dove convivono due realtà come la Falco, che gioca in Prima categoria («Noi ci prendiamo ancora del tempo, vivaio compreso - fa sapere il segretario Paolo Grigis - perché il pericolo è quello di rimettersi in moto in qualche modo per poi fermarsi nuovamente di colpo»), e l’AlbinoGandino. Società, questa, che schiera una squadra in Eccellenza e diverse formazioni di settore giovanile, tutte ancora ferme al palo, come spiega l’allenatore Roberto Radici: «Per ora i giocatori si allenano ciascuno per conto proprio, in base alle tabelle di preparazione che gli sono state inviate. Siamo un po’ perplessi di fronte all’ipotesi di riaprire il centro sportivo per svolgere allenamenti parziali, senza le dinamiche della preparazione calcistica: vorrebbe dire cercarsi altri problemi in un momento in cui già vengono da soli».

Radici è anche professore in un istituto scolastico della Val Seriana: «E vedo quanto i ragazzi scalpitano per tornare a fare sport. Gli è stata tolta una delle componenti fondamentali del loro essere: forse qualcuno sorriderà quando si parla di possibili effetti da lockdown sulla sfera individuale, ma io so che, nelle scuole, ultimamente gli psicologi hanno parecchio su cui lavorare».

Chi non può partire

La voglia di riprendere in mano un pallone sarebbe tanta anche su altri fronti, dove però le ultime disposizioni hanno bruscamente azzerato le operazioni di ripartenza. La Scuola Pallavolo Bergamo - che insieme alla Pallavolo Celadina funge da serbatoio giovanile per la Zanetti Volley Bergamo che milita in serie A - aveva appena deciso di riattaccare la spina, prima che le fredde parole del Dpcm («Sono sospese le attività di palestre, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali…») ne spegnesse gli entusiasmi. «Avevamo pensato di rimettere in azione tutte le squadre» illustra il coordinatore Enzo Bolla, «dedicandoci alla parte atletica e, per quanto riguarda la palla, agli esercizi con la parete. Non potevamo fare diversamente, trattandosi di allenamenti “individuali”, ma del resto era nostra forte intenzione sfruttare ogni possibilità di tenere vivo il movimento. Ora, invece, ogni discorso è chiuso».

Fra Scuola Pallavolo e Celadina si parla di circa 250 ragazzi e ragazze di ogni d’età (dalla primaria alle superiori), costrette a una sorta di lockdown di settore: «I corsi di volley S3, l’ex minivolley, erano stati bloccati dall’ordinanza regionale ancora prima di partire; mentre per le formazioni dell’agonistica avevamo soltanto impostato la preparazione, sopportando peraltro i costi relativi alla sanificazione iniziale delle palestre. Considerando che non avevamo ancora chiesto alcuna quota alle famiglie, rischiamo davvero di ritrovarci in ginocchio».

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