Variante inglese del coronavirus
Quattro i casi nella Bergamasca

Antonioli (Ats): «I positivi arrivavano o erano transitati dall’Inghilterra: per loro sintomi lievi. La mutazione del virus non influisce sul nostro lavoro: mettiamo il viaggiatore subito in isolamento fin dall’inizio».

Pochi, ma sufficienti a far alzare il livello di guardia. La variante inglese non è più, solo, inglese: di casi ne sono stati accertati ormai in tutto il mondo, e la nostra provincia non fa eccezione. Pur con numeri bassi: sono quattro i tamponi positivi alla variante d’Oltremanica registrati nella Bergamasca da quando è stato introdotto l’obbligo di accertamento per chi – dall’Inghilterra – rientra in Italia. Le indagini mirate a scovare questa variazione in Lombardia si fanno non sull’intera platea di tamponi processati dagli ospedali, bensì soltanto sui tamponi positivi dei viaggiatori. In altre parole: se il test molecolare fatto a chi proviene dall’Inghilterra è positivo, allora il tampone viene trasmesso ai laboratori specializzati nel sequenziare il virus e intercettare le variazioni. «Da Natale a oggi sono solo quattro i casi di variante inglese accertati nella nostra provincia – conferma Lucia Antonioli, alla guida del Dipartimento di Igiene e Prevenzione sanitaria dell’Ats di Bergamo –. Si tratta di cittadini che, appunto, arrivavano o erano transitati dall’Inghilterra: per loro la positività si è tradotta giusto in qualche sintomo lieve e nulla più».

Ricerca a Pavia o al Sacco

La ricerca delle varianti, per ora, non viene effettuata dai laboratori degli ospedali bergamaschi: «I presidi delle tre Asst processano i tamponi eseguiti ai viaggiatori. Se l’esame è positivo e si rileva un marcatore ben preciso, i tamponi dalla nostra provincia vengono inviati ai laboratori dell’ospedale San Matteo di Pavia oppure al Sacco di Milano per il lavoro di sequenziamento. Ma questo trasferimento non ci penalizza. Mi spiego meglio: non appena abbiamo notizia della positività al tampone, noi mettiamo il viaggiatore in isolamento. Non incide, al fine di contenere i contatti, sapere se il nostro concittadino è positivo alla variante inglese oppure al ceppo tradizionale. Noi disponiamo l’isolamento, punto». L’isolamento e pure il tracciamento: «Esatto. Partono subito le inchieste epidemiologiche utili al tracciamento dei contatti dei positivi. Lo facciamo da sempre, e l’operazione si ripete identica nel caso di tamponi positivi alla variante inglese».

«Tracciamento garantito al 99%»

Un lavoro, quello del contact tracing, che ha subito qualche rallentamento sul finire del 2020, quando anche nella Bergamasca la curva dei contagi – pur con numeri decisamente più contenuti rispetto alle altre province lombarde – è risalita: «Parliamo di novembre, quando c’è stata un’impennata di casi anche sul nostro territorio. Lì abbiamo fatto fatica. Ma adesso il tracciamento è garantito al 99%, non ci sfugge praticamente nulla. Anche per questo non siamo preoccupati per la variante inglese. Da un lato non incide sul nostro lavoro e sulla sua organizzazione, dall’altro arriva in un momento in cui l’attività di tracciamento è estremamente efficace e capillare».

E a facilitare le inchieste epidemiologiche di Ats Bergamo anche un team di rinforzo: 25 medici inviati dalla Protezione civile che, dallo scorso novembre, danno manforte alla squadra di tracciatori di Ats. «Di quei medici a oggi ne sono rimasti solo 5, che termineranno il loro incarico a fine gennaio, mentre 20 hanno finito il 18 gennaio. Da febbraio rimarremo quindi soltanto con la nostra squadra, rappresentata da una trentina di tracciatori, fra assistenti sanitari e medici: ma se i numeri rimangono quelli attuali, ce la facciamo senza problemi».

«Pericoloso l’ambito domestico»

Il lavoro dei contact-tracer consiste nell’intercettare tutti i contatti avuti dai cittadini positivi al virus nei giorni precedenti l’accertamento del contagio. Con il chiaro obiettivo di arginare il pericolo focolai.

«Attualmente l’ambito in cui ci si contagia di più è quello domestico. Non quello scolastico, che invece aveva inciso lo scorso autunno con la ripartenza delle lezioni, e non quello lavorativo, che pesa sul totale dei positivi in maniera davvero marginale. Sono le famiglie il setting in cui si abbassa la guardia e ci si ammala con maggior facilità».

E per dire di quanto l’ambito domestico sia da monitorare, la dottoressa Antonioli cita qualche esempio concreto. «Qualche giorno dopo Natale mi sono trovata personalmente a fare un’inchiesta epidemiologica per intercettare i contatti di un positivo. Ebbene: siamo arrivati a contare 40 persone con cui questo cittadino bergamasco era stato a contatto nella giornata del 25 dicembre, nonostante tutte le direttive anti contagio imposte per le feste. In una sola giornata, ben 40 contatti. Ma potrei citare anche un altro caso emblematico. Quello di un nostro concittadino che durante le feste è stato a casa dei nonni insieme ad altre 17 persone. Risultato? Tutti e 17 contagiati. L’unica fortuna è che hanno avuto tutti sintomi lievi».

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