Zona rossa, quei 2 giorni di ritardo
Ricciardi: «Cruciale agire subito»

Il nodo dell’inchiesta: il Cts la chiese per Alzano il 3, Conte dice di aver visto il report solo il 5. Il consigliere del ministro: «Anche la Regione poteva decidere, ma non risultano atti».

Pandemia Covid, 48 ore di «vuoto» tra l’allerta lanciato dagli scienziati e la presa visione da parte del governo: è questo il «cuore» dell’indagine sulla mancata zona rossa ad Alzano e Nembro. È il 3 marzo 2020: il Cts, Comitato tecnico scientifico chiede misure restrittive per Alzano e Nembro, così recita il verbale ottenuto nei giorni scorsi dal consigliere regionale bergamasco di Azione, Niccolò Carretta.

Ma il premier Giuseppe Conte ha dichiarato che quel verbale (l’unico rimasto «nascosto» rispetto a quelli dei giorni successivi che giovedì sono stati diffusi da Fondazione Einaudi) non lo ha visto il 3 marzo ma ne è venuto a conoscenza due giorni dopo, il 5. A cosa è dovuto quel «buco nero» di informazioni? Cosa è successo? Di quel verbale il presidente del Consiglio ha parlato con gli inquirenti di Bergamo, sentito nell’inchiesta sulla mancata zona rossa di Alzano e Nembro, ma sui dettagli si è trincerato: «Ho il vincolo del segreto istruttorio».

Rischio altissimo

Una cosa è certa: che della condizione pericolosissima in cui si trovava quella zona di Bergamo il 3 marzo erano informati tutti, la Regione, l’Istituto superiore di sanità, il Comitato tecnico scientifico e anche il governo. Due giorni dopo, dice Conte. Ed è sul «giallo» di queste 48 ore che si concentra l’interesse dei magistrati di Bergamo: ne hanno parlato con Conte, devono averne parlato con Walter Ricciardi, ordinario di Igiene all’Università Cattolica di Roma, consigliere della direzione della Regione Europea dell’Organizzazione mondiale della Sanità, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza e componente del Cts: «Su questo non posso rispondere, c’è un’indagine e io sono stato sentito come persona informata sui fatti», ha rimarcato ieri. Ma davanti all’interrogativo degli interrogativi, ovvero, sarebbe cambiato qualcosa se la zona rossa ad Alzano si fosse fatta subito, non esita: «Non possiamo averne le prove, ma sembra assai plausibile che in una situazione così critica prima si attuano provvedimenti simili e meglio è».

Dati sottostimati

Quindi: l’alert del 3 marzo, la riunione del 4 marzo in Regione di cui è stato diffuso l’audio, in cui l’assessore al Welfare Gallera e il presidente Attilio Fontana parlano al ministro Speranza segnalando che nella zona di Alzano la gente «continua ad andare in giro», quindi il 5 Conte dice di aver avuto in mano il verbale, chiesto un supplemento di valutazione al Cts e poi deciso per la chiusura di tutta la Lombardia perché «la situazione era compromessa». Era il 7 marzo, il 9 viene chiusa tutta l’Italia.

Ma ora, a mesi di distanza, emerge anche che le valutazioni venivano fatte su numeri ben inferiori alla realtà che si stava consumando nella Bergamasca. Per dirla senza mezzi termini, ad Alzano e Nembro, quando il 5 Conte dice di aver visto il verbale, i buoi erano già scappati: nel verbale del 3 il Cts sottolinea sì che ciascuno dei due paesi aveva fatto registrare «oltre 20 casi», ma i dati che la Regione aveva inviato il 3 marzo al direttore dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro non contemplavano i tamponi già eseguiti e non ufficializzati, c’erano almeno 69 casi non rilevati. Bergamo era già messa peggio di Lodi, dove era stato segnalato il primo caso di Covid in Italia. «Questo lo sappiamo ora, ma in quel preciso momento no: il Comitato si è sempre mosso sulle evidenze scientifiche e sui dati ufficiali di monitoraggio, come da indicazioni dell’Oms – ribadisce Ricciardi – . Non si sapeva nulla del virus, e anche i tracciamenti in quel momento erano quello che erano. Ora sappiamo che Bergamo era l’epicentro dello tsunami che si stava abbattendo sull’Italia e sul mondo. Quindi è un esercizio superfluo chiedersi ora se era meglio chiudere solo la Lombardia o tutta l’Italia. Sul lockdown totale il Cts non fece obiezioni, ma per la zona rossa di Alzano e Nembro parla il verbale del 3 marzo. Noi lanciammo l’alert, il governo decise. Comunque, anche la Regione Lombardia avrebbe potuto farla, quella zona rossa, non lo fece né lo chiese. Non è agli atti alcuna richiesta ufficiale».

Attenti ai trasporti

Se tra il 3 e il 5 marzo nella Bergamasca c’era una bomba pronta ad esplodere, il Nemico invisibile che si stava moltiplicando, oltre a chiedersi quanto abbia inciso «il buco nero» delle 48 ore tra il verbale del Cts e la presa visione del governo l’altro interrogativo che continua a tornare è: perché proprio nella Bergamasca è successo quello che è successo? Può essere stato sufficiente quel «buco nero»? «Gli inneschi che hanno favorito la propagazione del virus sono stati molti: l’area della mancata zona rossa è molto popolata, la Bergamasca ha un alto tasso di residenti anziani e quindi più fragili, è un’area molto trafficata – continua Ricciardi – . E prima c’è stato anche il caso della partita Atalanta-Valencia del 19 febbraio: 40 mila persone ammassate e poi riunite a festeggiare». A virus ormai già circolante, non si è mai fatto un contact tracing su quell’evento, eppure i biglietti sono nominali. «La Regione Lombardia è stata carente nella sanità territoriale, il tracciamento dei contagi, almeno all’inizio, è stato fatto poco o niente, poi si è andati meglio e si confida che questi problemi di test siano risolti. E nella diffusione c’è stata anche la componente ospedaliera, con i primi casi individuati. La Lombardia ha storicamente investito molto sulla rete ospedaliera, ottenendo eccellenze, ma non si è puntato sui servizi di sanità pubblica e sul territorio. Su questo servono interventi. In vista del futuro: la Lombardia non si è liberata dal virus, necessita di particolare attenzione, ci sono decine di focolai. Le misure di contenimento attuali sono fondamentali, quindi mascherina, distanziamento e igiene, come il Cts, che si muove proponendo misure proporzionate alla situazione epidemiologica, ha rimarcato e continua a rimarcare. Il distanziamento è cruciale: il governo ha varato provvedimenti per prolungare queste formule fino a settembre. Penso ai trasporti, su treni e bus: a maggior ragione dovrebbero valere per la Lombardia, che invece sceglie provvedimenti in contrasto con quanto l’evidenza epidemiologica ci suggerisce, facendo viaggiare a capienza totale. In Lombardia è fondamentale continuare un contact tracing stringente e costante. Tutti strumenti che ci permettono di tenere sotto controllo il virus, ma se comparissero focolai massicci non si potrebbe poi escludere l’isolamento di determinate aree».

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