«Le energie fossili alimentano la guerra e la crisi climatica»

LA DENUNCIA. «C’è una connessione molto diretta tra il cambiamento climatico e il conflitto. La Russia ricava ingenti entrate dai combustibili fossili e sono questi a rendere possibile la guerra». L’invasione dell’Ucraina, insomma, è alimentata dalla stessa moneta che genera la maggior parte delle emissioni di gas serra all’origine del riscaldamento globale: carbone, petrolio, gas. E quest’ultimo, infatti, è stato usato da Putin come arma di ricatto verso l’Occidente.

«C’è una connessione molto diretta tra il cambiamento climatico e il conflitto. La Russia ricava ingenti entrate dai combustibili fossili e sono questi a rendere possibile la guerra». L’invasione dell’Ucraina, insomma, è alimentata dalla stessa moneta che genera la maggior parte delle emissioni di gas serra all’origine del riscaldamento globale: carbone, petrolio, gas. E quest’ultimo, infatti, è stato usato da Putin come arma di ricatto verso l’Occidente.

La citazione della scienziata ucraina

La climatologa Elisa Palazzi cita la scienziata ucraina Svitlana Krakovska intervenendo lunedì sera, allo Spazio Polaresco in città, all’incontro per Molte fedi sul tema «La guerra cambia il clima, il clima cambia la guerra».

Emissioni di gas serra e indebolimento della collaborazione

Gli impatti della guerra sul clima avvengono in due modi. Innanzitutto per le emissioni di gas serra provocate dai mezzi e dalle operazioni militari: esplosioni, incendi, distruzioni di foreste, particolarmente gravi perché, in poco tempo, liberano l’anidride carbonica stoccata e inibiscono la capacità di assorbimento. Poi perché i conflitti indeboliscono le politiche di collaborazione necessarie per il conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni che alterano il clima.

I combustibili fossili riportati al centro dell’attenzione

Non solo. La necessità di sostituire il gas russo, per l’emergenza creata dall’invasione dell’Ucraina, ha indotto l’Europa a un’affannosa ricerca di alternative da altri Paesi, riportando la sicurezza energetica basata sui combustibili fossili al centro dell’attenzione, anziché cogliere l’occasione per velocizzare la transizione ecologica verso le fonti rinnovabili. Non è chiaro, infatti, se le politiche di decarbonizzazione previste dal Green Deal europeo siano davvero progredite, se non sulla carta.

Il settore militare non è obbligato a contabilizzare le emissioni

Il settore militare, poi, non è obbligato a contabilizzare e comunicare le proprie emissioni, stimate il 5 per cento del totale: in Italia, in un anno, sono pari a quelle della sola città di Torino. Nel mondo il suolo occupato da azioni militari anche in tempo di pace arriva fino al 7 per cento, sottratto, a carico delle finanze pubbliche, ad altre attività. Anche le necessarie missioni umanitarie e la ricostruzione successiva ai conflitti producono poi ulteriori emissioni: l’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i conflitti, è riuscito a ridurre quelle dei propri interventi di aiuto.

I cambiamenti climatici ingredienti dei conflitti

I cambiamenti climatici, d’altra parte, hanno un ruolo come ingredienti dei conflitti. Emblematico il caso della Siria, dove la siccità perdurata dal 2006 ha portato i prezzi alle stelle e provocato migrazioni dalle campagne alle città, esacerbando la guerra civile scoppiata nel 2011. In Africa, in Sud Sudan, Ciad, Niger, le poche precipitazioni nella stagione delle piogge inducono i pastori a migrare prima del tempo nelle regioni degli agricoltori, entrando in competizione con loro.

I popoli che generano meno emissioni i più vulnerabili

C’è correlazione tra siccità, desertificazione, conflitti. La carenza idrica, come osserva l’Ipcc, il Gruppo intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici, è un moltiplicatore di minacce e favorisce le migrazioni interne ed esterne. I popoli che generano meno emissioni sono quelli più vulnerabili ai cambiamenti e ai conflitti: è il tema della giustizia climatica.

Ucraina, Vietnam, guerra del Golfo

In Ucraina la guerra iniziata il 22 febbraio 2022 ha già provocato, oltre alle gravissime perdite di vite umane, danni ambientali stimati in 50 miliardi di dollari: più inquinamento dell’aria, rotture alla rete idrica, terreni agricoli resi inutilizzabili, crollo della biodiversità. E rischi per le centrali nucleari. Riforestazioni e bonifiche sono poi pratiche molto lente. Lo dimostrano i casi del Vietnam, dove vent’anni di guerra provocarono la distruzione fino al 44 per cento delle foreste, e degli incendi dei pozzi petroliferi e degli sversamenti in mare durante la guerra del Golfo del 1991.

Riscaldamento globale, perseguire chi non rispetta gli impegni

La tutela giuridica dell’ambiente in caso di conflitti nasce grazie a protocolli aggiunti alle convenzioni di Ginevra, al divieto di tecniche di distruzione, alla definizione del crimine in materia. La Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino ha un corso di «Climate change litigation», il diritto ambientale per perseguire istituzioni e aziende che non rispettino gli impegni di contrasto al riscaldamento globale.

Duecento persone hanno affollato la sala, molti gli studenti

Elisa Palazzi, intervistata sul palco da Chiara Mollica e Cecilia Zinni del gruppo Finisterrae delle Acli, ha risposto poi alle domande del pubblico, circa duecento persone che hanno affollato la sala, tra cui molti studenti delle superiori Lussana, Mascheroni, Paleocapa.

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