«Molta attesa per il Papa alla Cop sul clima a Dubai»

L’INTERVISTA. «Nella prospettiva dell’economia classica, siamo un Paese ricco d’ingegno ma povero di risorse. In un orizzonte sostenibile, al contrario, nessun territorio è ricco come il nostro». Grammenos Mastrojeni ne è convinto. Il diplomatico dell’Unione per il Mediterraneo e docente di Ambiente e Geostrategia lo spiega in «Vola Italia. Ridare le ali a un Paese insostenibile» (Città Nuova, pagine 312, euro 17,90).

«Nella prospettiva dell’economia classica, siamo un Paese ricco d’ingegno ma povero di risorse. In un orizzonte sostenibile, al contrario, nessun territorio è ricco come il nostro». Grammenos Mastrojeni ne è convinto. Il diplomatico dell’Unione per il Mediterraneo e docente di Ambiente e Geostrategia lo spiega in «Vola Italia. Ridare le ali a un Paese insostenibile» (Città Nuova, pagine 312, euro 17,90).

Il prodotto sostenibile scelto perché è migliore

Un sondaggio presentato a Bergamo da Nando Pagnoncelli mostra che gli italiani scelgono la sostenibilità per il prodotto qualitativamente migliore e non perché abbiano paura della crisi climatica o per motivi etici. «Lo confermo. Solo lo 0,8-1 per cento della popolazione considera, nelle proprie scelte sia di acquisto sia di voto, il bene comune. In altre parole, di solito preferiamo il candidato che tutela i nostri interessi e, quando compriamo un prodotto, calcoliamo il rapporto tra qualità e prezzo, non interessandoci tanto se comprende anche una dose di lavoro minorile. Lo si è visto nel caso dell’olio di palma: il video di Greenpeace sull’orango minacciato dall’espansione indiscriminata delle piantagioni non ha cambiato assolutamente niente. Quando il messaggio è diventato personale – non l’olio di palma fa male alla foresta, agli indigeni, agli oranghi, ma fa male a te – si sono visti i cambiamenti nelle scelte di mercato».

Poco tempo per disinnescare il tracollo socio-ambientale globale

«Ma non si può pensare di basarsi sempre su una minaccia personale: dopo un po’ si crea assuefazione, mentre abbiamo pochissimo tempo per disinnescare il tracollo socio-ambientale globale. Si è decisa una strategia comunicativa per cui non si può vendere la sostenibilità perché salva il futuro, ma perché è un prodotto migliore. Il bio non perché tutela l’abilità rurale intorno alla città, ma perché più salutare e saporito per te. L’ecoturismo non perché salva la foresta, ma perché oggi è di moda postare su Instagram la foto in mezzo agli indigeni, non quella nel resort all inclusive che suona di vecchio. Meccanismi atavici di difesa personale continuano a giocare nelle scelte politiche e personali. Bisogna tenerne conto. Per preparare il Paese alla transizione sostenibile, per cui il territorio ha veramente la vocazione, ma non la mentalità, dobbiamo far capire che sostenibilità è sinonimo di miglior qualità della vita, miglior prodotto e più ricchezza anche per le nostre imprese».

Senza una nuova cultura, le tecnologie più pulite risolvono poco

Ma la sostenibilità, come mostra il sondaggio, è sotto attacco: campagne di stampa si accaniscono contro il Green Deal europeo, l’auto elettrica, le case green.

«In questo attacco distinguerei due componenti. Una è la reazione normale di chi ha costruito solidità, futuro, ricchezza su un certo modello di produzione. L’altra, positiva: la contestazione delle moltissime fandonie sostenibili».

Qualsiasi attività produttiva presenta delle esternalità.

«Bisogna capire infatti che risolviamo pochissimo se adottiamo le tecnologie più avanzate e pulite, ma manteniamo la stessa mentalità del farci male accumulando e delle guerre di vicinato. Le esternalità con la tecnologia si possono limitare, ma fino a un certo punto. È una questione di cultura: capire che facciamo un gran salto in avanti, se rispettiamo il territorio di tutti valorizzandone le potenzialità. Nel libro porto un esempio: se metto pannelli solari sulla scuola di un villaggio povero, ottengo un vantaggio infimo in termini di risparmio di carbonio, ma gigantesco perché creo la consapevolezza in questi ragazzi e l’opportunità di studiare».

Serve un’economia diversa, il contrario del «mors tua vita mea»

È quanto Papa Francesco esprime nell’enciclica Laudato si’ con la critica al paradigma tecnocratico, ripresa nell’esortazione apostolica Laudate Deum.

«Non è la miglior tecnologia che ci salverà. Serve un’economia diversa, il contrario della massima “mors tua vita mea”. Un’economia dove, non perché siamo buoni ma perché siamo intelligenti, riconosciamo che io divento più ricco se tu diventi più ricco, non viceversa. È un altro paradigma culturale. L’hanno realizzato le democrazie del Nord Europa, per un clima che le costringe alla solidarietà. In Italia abbiamo le risorse necessarie. Se Copenaghen, che sorge su una palude spazzata dal vento, fa i miliardi proponendosi come modello di sostenibilità, Siena o Cremona possono diventare una miniera d’oro. Ma dobbiamo cambiare mentalità: siamo contenti se la villa del vicino crolla a pezzi. Lassù si rendono conto che, se il vicino ha una villa più bella, di riflesso aumenta anche il valore della mia».

Il libro segue un’ottica scientifica, né di destra né di sinistra. I riferimenti culturali sono ben precisi: l’economia keynesiana, l’ecologia integrale di Papa Francesco, il principio del voto col portafoglio. Oggi il Pnrr non rischia di diventare un’irripetibile occasione persa per rendere l’Italia un Paese sostenibile?

«Ho scritto questo libro anche perché vedevo questo rischio. La contrapposizione tra destra e sinistra si risolve in questo: è di sinistra chi pensa che la giustizia costruisca l’efficienza, di destra chi pensa che si arrivi alla giustizia con l’efficienza. Tutte le altre contrapposizioni del passato non ci sono più, anche nella dinamica tra le organizzazioni internazionali. Il Fondo monetario aveva un approccio esclusivamente efficientista ed economicista, non perché fosse ideologicamente di destra: in questo modo ha commesso errori come affamare l’Argentina in nome dell’equilibrio di bilancio pubblico, ma se ne è accorto. Tant’è che la Banca mondiale, che era sulla stessa linea, adesso è forse, in questi termini, l’organismo più di sinistra che esista. Il problema non è l’etichetta del partito al governo. Si deve a Margaret Thatcher, che sicuramente non era di sinistra, la più riuscita operazione di sostenibilità urbana, recuperando il Tamigi e ridando vita a Londra. È una questione di osservazione del territorio su base scientifica. Noi abbiamo ingabbiato l’Italia e non riusciamo a sprigionarne il potenziale perché abbiamo creato l’obbligo del farla franca».

Il cambiamento si realizza solo con una conversione interiore

Lei segue la diplomazia climatica. Papa Francesco ha scritto la Laudate Deum in vista della prossima conferenza dell’Onu sul clima, a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre, dove, per la prima volta a quest’assise, interverrà.

«Se ne avverte già la vibrazione tra i 40mila che vi parteciperanno, negoziatori e lobbisti. È questa l’onda che circola. Si sente molto l’autorità morale del Papa, al di là delle fedi: c’è fermento intorno all’idea del suo arrivo. Tutto il modello concettuale internazionale della transizione sostenibile è espresso dall’Agenda 2030, adottata nel 2015. Poco prima, al Palazzo di vetro dell’Onu a New York, era stata presentata la Laudato si’. Vi ho assistito, pensando che fosse una svolta. Sono stati i momenti di maggiore speranza. La sostenibilità è una questione di conversione: il riconoscimento che quanto abbiamo attorno ci offre già molto di più di quanto pensavamo di costruire, sostituendolo o rimaneggiandolo. Non è antiscientifica. È una conversione alla ricchezza di quanto ci circonda, a capirlo anziché violentarlo. L’Agenda 2030 è il pilastro tecnico-politico. La Laudato si’ offre il pilastro profondo di risonanza intensa nelle persone e nei popoli. La Laudate Deum, che rinforza il messaggio, mi crea tenerezza nei confronti di questo pontefice che, in tarda età, non demorde. Non presenta un’evoluzione dottrinale o nuove scoperte scientifiche».

Il chiaro riconoscimento che siamo vicini a una soglia di collasso

«L’unica vera novità è che, per la prima volta anche in un documento di questo tipo, c’è il chiaro riconoscimento che siamo vicini a una soglia di collasso. Colpisce perché è un appello alle donne e agli uomini di buona volontà che, dopo la Laudato si’, si sono mossi in pochi, tiepidamente. Sintetizzerei l’esortazione proprio in questo appello: dove siete donne e uomini di buona volontà. Senza di voi non si può fare niente, non c’è un Consiglio di sicurezza, un’Unione europea che possa cambiare le cose. Il cambiamento viene dalla somma dei cambiamenti dei comportamenti di ciascuno di noi, dal nostro impegno. Se non si realizza una conversione interiore, mandiamo a rotoli il pianeta».

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