Alto consumo di gas in provincia: siamo al quinto posto in Italia

Crisi energetica Fonti alternative ci sono. Mazzoncini (A2A): dai rifiuti fino a 8-10 miliardi di metri cubi di biometano all’anno. Ipotesi nucleare: «Dipenderemmo dall’estero per l’uranio».

Neppure lo scenario più pessimistico, nella guerra tra Russia e Ucraina, può far pensare, ad oggi, a una chiusura dei rubinetti del gas verso l’Europa: troppo alti gli interessi di Mosca sul mercato continentale, che pure dipende dal gas russo solo per il 10%.

Tuttavia la situazione dell’Italia è diversa: il nostro Paese è vincolato dalle forniture di gas straniero per il 94%, di cui oltre un terzo proveniente proprio dalla Russia. Da qui la necessità di ragionare da subito sull’utilizzo di fonti alternative. È questo il pensiero di Renato Mazzoncini, amministratore delegato di A2A, che mercoledì pomeriggio è intervenuto al convegno organizzato dalla Camera di Commercio sul tema «La geopolitica dell’energia».

La provincia di Bergamo, da sola, consuma il 19,8% del gas industriale della Lombardia, più di tutte le altre province lombarde, e con mezzo miliardo di metri cubi all’anno, si posiziona al quinto posto in Italia (con un consumo del 3,7%). Numeri importanti, «ma non sorprendenti – ha detto Carlo Mazzoleni, presidente della Camera di Commercio –: nella Bergamasca c’è una presenza di aziende manifatturiere più alta rispetto ad altre province, e che consumano molto più gas». I settori più esposti sono quelli della chimica e della metallurgia, che da soli contano in provincia di Bergamo circa 400 aziende medio-grandi, per 61mila lavoratori. Va da sé che una stretta delle forniture potrebbe incidere sulla produzione industriale della nostra provincia molto più che altrove. Ma è una prospettiva che al momento appare lontana, nonostante l’inasprimento dei toni della guerra.

«Le prossime settimane saranno determinanti – ha detto Renato Mazzoncini –, ma né l’Europa né la Russia hanno interesse ad interrompere il flusso del gas. I Paesi dell’Unione sono in grado di fare a meno di quello russo, e Mosca lo sa». Serve però ragionare anche a livello locale: in attesa di una politica energetica comune europea, e considerata la forte dipendenza dell’Italia dal gas di Mosca, il nostro Paese sta già muovendosi per diversificare gli approvvigionamenti. N on però in maniera efficace, secondo l’a.d. di A2A: «Quando sento che il Governo sta firmando accordi con Paesi come l’Algeria, la Libia, l’Angola, il Congo e il Mozambico, penso che tra questi non c’è un solo Stato che ci tranquillizza dal punto di vista della stabilità interna». Una ragione in più, dunque, per ragionare sulle fonti alternative, in grado innanzitutto di rendere l’Italia meno dipendente dall’estero e, dato non trascurabile, per provare a invertire una tendenza che negli ultimi 30 anni ha portato a un incremento importante di consumo di gas. Acqua, sole, vento e rifiuti: gli ingredienti per ragionare sullo sviluppo delle fonti alternative ci sono e «l’Italia ne è particolarmente ricca – ha detto ancora Mazzoncini –. Con i rifiuti, per esempio, potremmo produrre fino a 8-10 miliardi di metri cubi di biometano all’anno, pari a una quantità di 4-5 volte superiore al gas che possiamo estrarre dal Mediterraneo». Diversificare sì, ma è anche importante farlo con cognizione di causa. «Si sta tornando a parlare di nucleare in maniera insistente – ha aggiunto Mazzoncini – dimenticandoci che per far funzionare le centrali serve una quantità di uranio che non abbiamo. Non avrebbe senso creare infrastrutture nuove e rimanere ancora così tanto dipendenti dall’estero. Servirebbe invece iniziare a risparmiare energia, efficientando edifici e mezzi di trasporto». E pensare a un piano di approvvigionamento comune europeo, in modo da avere un potere d’acquisto maggiore rispetto a quello attuale.

Sulla necessità di trovare fonti alternative è intervenuto anche Antonio Gozzi, presidente di Duferco Italia Holding, tra i maggiori produttori d’acciaio in Italia. «Oggi le imprese vivono alla giornata – ha detto – e firmare contratti alle cifre attuali è difficile. Finora la siderurgia è riuscita a scaricare i prezzi dell’energia sui prodotti finiti, per questo le aziende non si sono fermate». Ma non ci sono alternative: «O siamo capaci di decarbonizzare – ha aggiunto –, o le nostre imprese sono destinate a chiudere».

E se le previsioni a lungo termine, secondo i relatori del convegno, parlano di una discesa dei prezzi verso una ritrovata normalità, da qui ai prossimi mesi molto dipenderà dalla crisi tra Russia e Ucraina: «Vedo 4 scenari – ha detto Paolo Magri, vicepresidente dell’Ispi –: una guerra d’attrito o un conflitto “congelato”, entrambi di lunga durata, oppure una resa di una delle due parti, o ancora un cambio di regime, seppure poco probabile. Intanto stiamo assistendo a un nuovo appiattimento dell’Europa sugli Stati Uniti, dimenticandoci che gli interessi economici e strategici non sono gli stessi. Quel che è certo, è che dopo questa emergenza le fonti rinnovabili avranno strada asfaltata nella ricerca delle alternative all’approvvigionamento del gas».

© RIPRODUZIONE RISERVATA