Aruba investe ancora a Ponte San Pietro: nel campus altri due data center

IL PROGETTO. Previsti tra il 2026 e il 2027: in tutto saliranno a cinque. In estate nuova struttura a Roma. Ricavi dell’azienda a 360 milioni.

La filosofia di Stefano Cecconi, amministratore delegato di Aruba, si può riassumere nella frase «eat your own dog food», ovvero fa bene quell’azienda che provvede a creare servizi per se stessa. Che poi è il modo in cui Aruba è diventata l’Aruba di oggi: «Siamo nati come utilizzatori di data center - spiega Cecconi - fino a quando nel 2001, ad Arezzo, non abbiamo costruito il primo per noi». Seguono il secondo, nel 2011, sempre ad Arezzo e, nel 2016, quello di Ponte San Pietro nella vasta area ex Legler. Dai telai dell’azienda tessile agli «armadi», le infrastrutture cloud di poche centinaia di clienti diretti a livello di «enterprise», ma che, in termini di utenti finali, si traducono in decine di milioni. L’azienda fondata nel 1994, infatti, è il principale provider italiano di servizi cloud, oltre a offrire servizi di datacenter, cloud, hosting, trust services, e-mail, Pec, registrazione di domini e firma digitale.

Il prossimo passo, previsto in estate, è l’inaugurazione del campus di Roma, che ospiterà cinque data center, ma al momento, sono in fase di realizzazione i primi due, con una capacità energetica di 6 megawatt l’uno. Il punto è proprio questo, come ammette lo stesso Cecconi durante la visita del campus: «Se quando abbiano inaugurato questo campus la nostra preoccupazione principale era la connessione, vale a dire la fibra ottica, oggi è la potenza elettrica». Che nel giro di qualche anno sarà raddoppiata, passando dagli attuali 30 megawatt a 60.

Questo anche perché è in crescita il campus di Ponte, che attualmente ospita tre data center, ma a regime, cioè tra il 2026 e il 2027, saliranno a cinque. L’investimento, come si dice in questi casi è importante, ma l’a.d. non rivela la cifra. «Al momento siamo in una fase di progettazione e stiamo iniziando le pratiche per ottenere i permessi». «Noi cerchiamo di produrre tutto quello che possiamo dalle rinnovabili: abbiamo una serie di centrali idroelettriche, di cui tre sul Brembo - afferma Cecconi -. In più rivestiamo di fotovoltaico tutte le parti di edificio che sono correttamente esposte, ma il fotovoltaico, per sua natura, produce alcune ore al giorno mentre il data center ha un consumo assolutamente costante». Insomma, «aiuta, ma non può essere la fonte primaria», mentre «l’idroelettrico ha una curva di produzione più stabile».

La visita a uno dei tre data center offre alcune curiosità: otto sale sono interamente occupati da singoli clienti, mentre una sala ospita Euronext, ovvero sette borse, tra quelle italiana, belga, francese, irlandese, olandese, norvegese e portoghese. In quanto a numeri, Aruba - che conta circa 1.200 dipendenti -ha un giro d’affari che nel 2023 si è attestato a 360 milioni, in crescita di oltre il 10% rispetto al 2022. E nel 2024, «per quanto ci siano un po’ di incognite, prevediamo un’ulteriore crescita», dice Cecconi. Ieri è stata anche l’occasione per la presentazione dell’Aruba Cloud in ambito MotoE Team. I piloti scelti per questo progetto sono Chaz Davies - che dopo aver terminato, nel 2021, l’avventura in Superbike, è entrato nel team Ducati Erc nel mondiale Endurance, vestendo al contempo i panni del coach per i piloti Aruba in Superbike e in Supersport - e Armando Pontone, che dopo un passato nella categoria Moto3 ha vinto il National Trophy SS600 nel 2021.

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