Fratelli nei capannoni della Brembo
Le vite intrecciate di Aldo e Antonello

Inizia il terzo viaggio de L’Eco di Bergamo in fabbrica ed è la volta degli operai della Brembo. Dopo la Tenaris Dalmine di due anni fa e il Cotonificio Albini dell’anno scorso, torniamo a raccontare i volti e le storie di chi ogni giorno con il proprio lavoro costruisce la nostra industria. Ecco un estratto della prima storia, da L’Eco in edicola sabato 16 luglio.

«Tre giorni dopo aver finito la terza media, avevo già trovato un posto». Contento? «Oooh». Lo sguardo di Aldo Locatelli si apre in un sorriso ampio e quasi divertito mentre il pensiero torna ai suoi 13 anni e mezzo, ragazzino come tanti, tutto il giorno a lavorare. È sempre stato così dalle nostre parti: poco da scialare e via a piegare la schiena appena possibile, soprattutto se a casa c’era bisogno.

La storia dei Locatelli non ha fatto eccezione e ne sono fieri. Aldo e Antonello, tre anni di differenza, 51 e 54, due vite incrociate nei capannoni della Brembo a Curno. Scesi da Capizzone ad Almenno, uno San Bartolomeo e l’altro San Salvatore, a metter su famiglia. Il primo ad approdare nella casa dei freni è stato Aldo, il più giovane. Ha fatto di tutto. Il muratore. Undici anni a costruire mobili da giardino in una delle tante tornerie che allora riempivano di lavoro la Valle Imagna: «Negli anni ’90 lavoravamo anche per l’Ikea», ricorda. Memoria del passato glorioso di una terra e di una specializzazione, come era la lavorazione del legno, messa a dura prova dalla crisi.

Poi Aldo ha fatto il postino, ha lavorato in un supermercato e ancora in un paio di aziende metalmeccaniche a lavorare con le macchine a controllo numerico. Arrivano i trent’anni. Racconta: «Ho saputo che alla Brembo cercavano e ho fatto domanda. Un giorno vado in un bar a Capizzone e un amico mi dice: “Hai fatto domanda alla Brembo? Stai tranquillo che tempo una settimana e ti chiamano”». La faccia di Aldo ripete ancora lo stupore di allora, ma ride divertito a raccontare quegli intrecci di persone e parenti che già avevano sentito il suo nome girare in fabbrica. Inizia l’avventura. La grande azienda era un sogno che si realizzava: «C’è poco da fare, ti dà sicurezza. Ed è un marchio conosciuto». L’impatto non è stato difficile: «Ero abituato alle piccole imprese. I macchinari erano diversi. Ma ho trovato gente disponibile». Aldo parte dall’officina moto: all’epoca era sotto casa, ad Almenno San Bartolomeo. A fine 2004 è stata accorpata allo stabilimento centrale di Curno. Da un paio d’anni Aldo è carrellista.

E in officina moto, pochi anni dopo è arrivato anche Antonello. «Sono stato fortunato: ero già vecchiotto per entrare, avevo 36 anni e non avevo un diploma», dice e in quel velo di nostalgia si coglie tutto il rimpianto per non aver avuto la possibilità di passare un po’ di tempo sui libri: «Ma negli anni ’70 era così: studiava chi poteva. Noi avevamo il papà operaio che faceva una vita d’inferno: tutti i giorni a Milano in fabbrica, dalle cinque di mattina alle otto di sera. Dovevamo aiutare in casa. E per fortuna che allora ti cercava chiunque».

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