Frenata degli impianti di biogas in Bergamasca: «Incentivi troppo bassi»

LO SCENARIO. In totale sono 41, soprattutto nella Bassa. Hanno costi elevati di installazione e manutenzione. «Più premi per l’aver ridotto l’impatto ambientale»

Incentivi statali ritenuti troppo bassi e limiti all’utilizzo del digestato come fertilizzante naturale. Questi i motivi della «frenata» sugli investimenti delle aziende agricole nell’installazione di impianti per la produzione di biogas attraverso l’utilizzo dei reflui prodotti da allevamenti. Dopo un’avanzata importante nell’ultimo decennio ora sono fermi a quota 41 gli impianti di questo tipo (30 associati a Coldiretti Bergamo, 11 a Confagricoltura Bergamo) concentrati soprattutto nella Bassa dove si trovano gli allevamenti più numerosi di mucche da latte o da carne. I loro reflui, per evitare la percolazione dei nitrati nella falda acquifera, possono essere utilizzati solo con alcuni limiti nella concimazione dei campi (170 chili di azoto per ettaro). La rimanenza, quindi, viene smaltita nei digestori utilizzati per la produzione di biogas attraverso cui viene generata elettricità che, in parte minore, serve ad alimentare le attività agricole, mentre la maggior parte va nella rete elettrica con relativo ritorno economico.

Le aziende con impianti di biogas (spesso accoppiati a impianti fotovoltaici sui tetti delle stalle) non acquistano quindi elettricità «ma la generiamo in modo pulito», spiega Damiano Brembati, titolare della Brembofarm di Pontirolo. L’azienda ha un impianto da 100 Kilowatt (e uno fotovoltaico da 300Kilowatt) la cui installazione, ha comportato un investimento oltre il milione di euro: «L’investimento iniziale – sostiene Brembati – non è l’unica spesa: gli impianti hanno macchinari che lavorano 24 ore su 24 e vanno affrontati importanti costi di manutenzione». E a fronte degli incentivi che ottiene chi produce biogas utilizzando reflui, pari a 23 centesimi per Kilowatt/ora, per Brembati «i conti non tornano. Nessuno vuole arricchirsi con questi impianti, ma dal punto di vista economico siamo troppo tirati. Chi li ha installati lo ha fatto anche perché ha una coscienza ambientale, riducendo di molto l’impatto della nostra attività. Dovremmo quindi essere maggiormente premiati».

Il nodo del digestato

Sulla stessa linea Davide Facchinetti, giovane agricoltore trentenne, titolare dell’omonima azienda agricola di Treviglio attrezzata anch’essa con impianto di biogas alimentato a reflui installato nel 2014 e costato anch’esso circa un milione. Per Facchinetti non solo sarebbero necessari maggiori incentivi. Ma andrebbe permesso l’utilizzo senza limiti come fertilizzante naturale del digestato (il prodotto che rimane al termine del processo di digestione anaerobica che avviene durante la produzione del biogas): «Al momento – spiega Facchinetti – la normativa pone il digestato sullo stesso piano dei reflui ma prove scientifiche dimostrano che non è così. L’azoto contenuto nel digestato non è dello stesso tipo: appena sparso si aggrappa subito alla pianta alimentandola. Se ci fosse permesso di utilizzarlo senza limiti potremmo sostituire i concimi chimici». Concimi prodotti prevalentemente in Ucraina e il cui prezzo, dopo lo scoppio della guerra, è passato da 30 a 100 euro il quintale. «Da tempo – sostiene Gabriele Borella, presidente di Coldiretti Bergamo – ci stiamo battendo affinché il digestato possa essere utilizzato ai fini agronomici come concime. Sarebbe una risposta significativa al problema dell’approvvigionamento di fertilizzanti che in Ucraina sono ormaimerce rara, dai costi proibitivi». E non solo: «Da tempo – conclude Borella – stiamo anche lavorando per risolvere il problema degli incentivi bassi riconosciuti a chi produce biogas».

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