Lavoro, a Bergamo persi 1.465 posti
«Influisce il blocco dei licenziamenti»

I dati Istat, nel 2020 calo contenuto dello 0,3%. Tasso di disoccupazione più basso degli ultimi cinque anni. Mazzoleni: in aumento chi non cerca occupazione. I sindacati: sui numeri incide il blocco dei licenziamenti.

Ironia della sorte, nell’anno della pandemia - il 2020 - il tasso di disoccupazione nella nostra provincia si ferma al 3%. Che è il valore più basso degli ultimi cinque anni: nel 2016 si attestava al 5,3%; nel 2019 al 3,5%. E, secondo i dati Istat elaborati dalla Camera di commercio di Bergamo, i disoccupati addirittura diminuiscono, passando da 17.791 a 14.986 (meno 15,8%). Chiariamolo subito: il quadro è tutt’altro che roseo, ma ci sono elementi - in primis il blocco dei licenziamenti - che incidono sui dati, «falsandoli» in qualche modo. E, almeno in Bergamasca, stando a questi numeri, un allarme occupazione non si vede. Come spiega il presidente della Camera di commercio, Carlo Mazzoleni, «il 2020 è stato dominato dall’emergere della pandemia da Covid-19 e le misure di contenimento hanno impattato sull’economia e sul mercato del lavoro». E «i provvedimenti che hanno congelato in buona sostanza il mercato del lavoro rendono non agevole l’interpretazione dei dati». «Si nota comunque che l’occupazione nella Bergamasca è calata meno rispetto alla Lombardia e all’intero Paese - dice Mazzoleni - e che la componente femminile ha segnato una ripresa. L’ingrossarsi dei ranghi di chi non cerca più lavoro spiega perché sia sceso il tasso di disoccupazione».

Gli occupati - a quota 482.196 - risultano sì in diminuzione, ma il calo è molto contenuto, pari ad uno 0,3%, che si traduce in una perdita di 1.465 posti di lavoro. Basti pensare che a livello nazionale sono 456 mila gli occupati persi l’anno scorso, di cui 249 mila sono donne. Scomponendo per «genere» questo dato, si nota come la flessione interessi la componente maschile: si registrano infatti 6.841 occupati in meno tra gli uomini, su un totale di oltre 285 mila. Di contro, l’occupazione femminile - quella che, secondo le previsioni di molti, sembrava essere la più in difficoltà - cresce di 5.375 unità, superando quota 197 mila. «Hanno tenuto, infatti, i settori a più alta occupazione femminile - spiega Orazio Amboni della Cgil di Bergamo - come scuola, sanità, servizi assistenziali, mentre l’occupazione è calata nettamente nell’industria».

Una «categoria» che merita attenzione è quella degli inattivi, vale a dire persone che non lavorano, né cercano lavoro non essendo iscritte ai Centri per l’impiego. Tra queste ci sono sicuramente i Neet, giovani che non studiano e non lavorano, ma non solo. Gli inattivi aumentano di 7.743 unità, portandosi a quota 231.738 (più 3,5%). Anche qui, mentre le donne diminuiscono di ben 2.395 unità, gli uomini aumentano di 10.137, passando da poco più di 70 mila a circa 80 mila. «In assenza di studi documentati, si può solo ipotizzare che l’aumento degli inattivi maschi sia dovuto in prevalenza a lavoratori anziani, ex disoccupati, in attesa della pensione», afferma Amboni.

Le difficoltà della manifattura

«Per una provincia come Bergamo, tra le prime in Italia per rilevanza dell’attività manifatturiera e industriale, non può non destare grande preoccupazione la riduzione di oltre 8 mila dipendenti proprio nell’industria», sottolinea Amboni

Altro aspetto da considerare è l’aumento del lavoro autonomo parallelamente alla riduzione del lavoro dipendente. «Nel settore delle costruzioni, ad esempio, il lavoro autonomo passa dal 27% al 31,7%; nell’industria dal 6,5% al 7,4%, proprio mentre il lavoro autonomo sta pagando prezzi elevati per l’assenza di ammortizzatori sociali», prosegue Amboni. «Va indagato, quindi, fino a che punto questo fenomeno sia dovuto a genuina attività autonoma piuttosto che a finte partite Iva o finte collaborazioni».

Pagano un prezzo alto i precari

«In 10 mesi del 2020 la pandemia ha portato alla perdita di quasi 1.500 posti di lavoro - rileva Danilo Mazzola della segreteria Cisl - coinvolgendo in primis i lavoratori con contratti precari». E tocca uno dei punti chiave: «La diminuzione del tasso di disoccupazione dal 3,5% del 2019 al 3% del 2020, non fotografa la realtà del momento, perché l’anno scorso sono aumentati i lavoratori inattivi». La conclusione è che «diventa urgente accelerare il più possibile sulla campagna vaccinale in atto, perché usciremo dalla crisi economica solo con il contenimento della pandemia - evidenzia Mazzola - in particolare per quei settori come terziario, servizi e ristorazione che stanno pagando un prezzo importante sotto il profilo occupazionale».

«Se, come sembra, viene prorogato il blocco dei licenziamenti fino al 30 giugno, sperando che si trovino ammortizzatori sociali idonei soprattutto per le partite Iva più deboli, si rischia di analizzare dati che non rappresentano la fotografia reale della situazione», rimarca il segretario generale della Uil, Angelo Nozza. Tutto, insomma, è rimandato a luglio, «sperando che nel frattempo le istituzioni procedano a fare un’analisi dell’offerta del fabbisogno di manodopera rispetto ad una domanda cambiata, mettendo in campo formazione dedicata». «O cominciamo a muoverci - chiosa Nozza - o rischiamo di non andare da nessuna parte».

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