Alla politica adesso si chiede competenza

«Nulla sarà più come prima», questa è stata la conclusione tra lo sconsolato e lo speranzoso che l’opinione pubblica aveva tratto dall’esperienza sconvolgente del coronavirus. Di colpo l’epidemia si era abbattuta sulla nostra vita come un tornado, imprevisto, incoercibile, inarrestabile. Una vera sciagura che bruciava certezze, sovvertiva progetti, soprattutto mettendo tutti di fronte allo spettro della morte che falcidiava famiglie e comunità.

Concludendo che nulla sarebbe stato come prima, s’è pensato che sarebbe uscita sovvertita la scala dei valori, che si sarebbe ridato il giusto peso alle cose e agli affetti che morte e dolori avevano fatto riscoprire. Non si pensava che molto sarebbe cambiato anche nella sfera pubblica, che gli elettori avrebbero richiesto nuovi comportamenti da chi ha la responsabilità della vita politica. A ben guardare, era già ben visibile il nuovo atteggiamento che l’opinione pubblica stava maturando al cospetto dello scenario di morte e di dolore che s’era spalancato davanti a suoi occhi increduli. Di colpo, un Paese che sembrava solo infervorarsi a inveire contro i suoi governanti, ora si appellava a loro - quasi li implorava - per avere aiuto e protezione. Conte, il premier voluto dal Movimento del «Vaffa», acquistava una popolarità inaspettata per i suoi modi rassicuranti e paterni. La politica da matrigna diventava materna.

Come una talpa, questo mutato orientamento maturato nelle viscere della società civile ha continuato a scavare sotto i piedi della politica senza che i politici (non tutti a dire il vero, di sicuro gli alfieri dell’antipolitica) se ne accorgessero. La frana alla fine è arrivata. Dal voto di domenica scorsa sono usciti con le ossa rotte proprio i fautori impavidi dello scontento e della protesta. La rotta delle forze interpreti del populismo non è un incidente di percorso, frutto solo del combinato disposto di uscite infelici e di comportamenti inappropriati. Non sono certo mancati questi, e a ripetizione. Quello che è cambiato nel profondo è che prima ai politici si chiedeva di farsi da parte, ora si chiede loro il contrario: responsabilità, competenza, tempestività e efficacia dei suoi interventi.

Gli stessi due dati emersi dale urne - forte astensionismo e l’apparente volubilità dell’elettorato che prima premia e poi condanna nel giro della stessa legislature partiti e leader - non vanno interpretati tanto come scontento della politica in generale, e con più sintomi del cattivo stato di salute della democrazia, ma piuttosto come bocciatura di una certa politica che promette e non adempie, che è mobile qual piuma al vento, cambia parole d’ordine a seconda dei sondaggi, che è incurante della coerenza. Un giorno è europeista, il giorno dopo euroscettica, il giorno prima invoca la legittimità dell’uso delle armi da parte del cittadino che si difende da un malintenzionato che viola l’intimità e la vita della propria famiglia e l’indomani si scopre pacifista ad oltranza negando le armi a un popolo che si difende da un aggressore intenzionato a cancellare la sua storia e la sua patria.

La fortuna del populismo è stata la sua capacità di dar voce e rappresentanza a tutti le ragioni di scontento di un’opinione pubblica stanca di una casta che sentiva lontana e indifferente ai suoi problemi. Il voto di domenica ha mostrato che rincorrere gli umori del momento non è più un comportamento premiante. L’elettorato ha mostrato di non apprezzare comportamenti incoerenti. Ne va della credibilità dell’eletto e della fiducia accordata dai cittadini agli eletti.

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