L'Editoriale
Sabato 31 Luglio 2021
Anche sacrifici
non solo vantaggi
Le delocalizzazioni sono la croce dell’economia italiana. Abb, Gnk, Whirlpool hanno chiuso i battenti e anche gli ammortizzatori speciali straordinari offerti dal governo non bastano per indurle a rimanere. Embraco, sempre del gruppo Whirlpool, produttrice di compressori per frigoriferi in Piemonte, di colpo chiude nel 2018 e licenzia 500 dipendenti. L’azienda è sana, non ha debiti, e dal 2012 al 2016 ha raddoppiato gli utili. Ma per la multinazionale non basta, e in Slovacchia i costi sono ancora più bassi. La domanda è: perché le aziende vanno incontro ad un danno di immagine con vertenze che si trascinano nel tempo e ledono la loro reputazione pur di delocalizzare?
Se guardiamo i flussi di emigrazione delle aziende si notano due tendenze: una verso i Paesi dell’ Est Europa, l’altra verso gli Stati Uniti, la Germania e la Francia, cioè in economie tra le più avanzate nel mondo. I dati della Cgia di Mestre mostrano il problema italiano: un’ economia a metà strada fra le produzioni tradizionali - modello ‘900 - e quelle più avanzate versione Industria 4.0. Dal 2015 ad oggi si sono fatti passi avanti e un buon gruppo di medie e medio grosse imprese è riuscita ad imporsi sui mercati internazionali e con un surplus nelle esportazioni ha di fatto salvato l’economia italiana. È riuscita a creare il made in Italy, ovvero un marchio che si distingue sul mercato ed è sinonimo di qualità oltre che di stile. Nella globalizzazione dei semilavorati che rende tutto standard e anonimo, avere un’ identità che distingue è basilare per sottrarsi all’interscambiabilità. Cioè al fatto che il prodotto fino a quel momento realizzato con successo, di colpo non lo è più, perché un altro sito produttivo è riuscito a far calare ancor di più i costi. Garantire qualità è l’ antidoto.
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