Ascoltare con il cuore le parole degli altri

Il racconto biblico della creazione è una vittoria delle cose sul nulla, sulla loro possibilità di non esistere. Dal vuoto cosmico, tutto comincia a essere, in un istante. E succede per una parola: «E Dio disse». E le cose sono. La sua parola irrompe sulla scena e sgretola l’impero del niente con qualcosa che inizia a vivere. È affascinante, fin da allora, il potere delle parole intuito dall’autore della Genesi: è il potere di far essere le cose, di creare e disfare, di vincere gli abissi di nulla che si accatastano sopra le vite di tutti, rendendole più vuote, abitudinarie e grigie.

C’è qualcosa della lotta contro il nulla che desertifica le vite che permane nel nostro bisogno di parlare e di comunicare. Ce lo ricorda anche questa 56ª Giornata mondiale per le comunicazioni sociali, in cui Papa Francesco chiede la capacità di «Ascoltare con l’orecchio del cuore», di farci attenti e grati al mistero delle parole che raggiungono la nostra vita e la creano, la fanno essere. Tutti, professionisti della comunicazione e suoi avventori quotidiani più caserecci, abbiamo un debito di parola.

Di qualcosa di simile scriveva Christopher Vogler, a margine di un suo saggio intitolato «Il viaggio dell’eroe», sostenendo che un certo «aspetto magico si è conservato nelle nostre parole, emerge quando insegniamo ai bambini ad accostare le lettere per formarle. Quando si compone correttamente una parola, in effetti si pronuncia un incantesimo, perché si caricano questi simboli astratti e arbitrari di significato e potere. Sappiamo che le parole hanno il potere di ferire e di guarire. Le semplici parole di una lettera, di un telegramma o di una telefonata possono colpire come una martellata. Sono solo parole segni sulla carta o vibrazioni dell’aria, eppure semplici vocaboli come «colpevole», «pronti, mirate, fuoco», «sì, lo voglio» o «vorremmo comprare la sua sceneggiatura» sono in grado di recluderci, condannarci, renderci felici, ferirci o guarirci col loro magico potere. Il potere salvifico delle parole è il loro aspetto più magico. Gli scrittori, come gli sciamani o i curatori nelle civiltà antiche, hanno le potenzialità di essere guaritori».

Ascoltare con l’orecchio del cuore, perché le parole hanno un potere salvifico. Ci salvano e ci permettono di salvare altri. Ci guariscono e ci rendono capaci di guarire altri. È il compito straordinario affidato alla lingua, alla penna e alla tastiera di ciascuno: dire il bene. Trovare le parole giuste per le cose che si guastano: il mondo, le relazioni e tutte le cose degli esseri umani tendono a usurarsi e a rompersi: litigi, incomprensioni, provocazioni, menzogne… Le parole le riparano e le tengono insieme. Sono il nostro compito e la nostra responsabilità.

Ma è vero anche le parole si guastano e si ammalano, dopo un po’. Vuoi che sia l’uso, l’abitudine, la quota di imprecisione con cui diciamo cose che poi non corrispondono a fatti, piuttosto che la capacità di servirsene in modo ambiguo… Sta di fatto che, del potere creatore delle parole, a volte rimane solo l’involucro: resta l’insieme delle lettere che forma quel determinato suono, ma la loro anima e la loro forza si attenua.

Ci sono dei «ti amo», «scusa», «ti stimo» che finiscono per non significare più nulla. Ed è a questo punto che appare l’urgenza di guarire ciò che ci guarisce. Abbiamo necessità di prenderci cura delle parole.

Il messaggio di Papa Francesco per questa giornata insiste su questo frangente. «Ascoltare con l’orecchio del cuore» è il farmaco per riparare le parole diventate vuote. Ascoltare le parole vere che provengono da altrove ridà vita alle nostre: questo è l’ascolto. È il mettersi a tacere per fare spazio a parole altrui, con la loro dose di scomodità, di imprevisto e di chiamata. Le parole che vengono da altrove, non sono mai inerti: ci raggiungono e ci ingaggiano. Il debito che abbiamo con la parola è un debito di ascolto.

Ascoltare gli altri con le loro esigenze e dando cittadinanza alle loro versioni dei fatti; ascoltare i grovigli di cose non dette che ciascuno custodisce nel proprio intimo e che rendono eloquenti anche i gesti; dare voce ai poveri e a coloro che hanno meno parole per dirsi; esporsi alle parole buone e immortali della letteratura, dell’arte e della fede; non cedere alla tentazione del silenzio come ultima arma per affermare le proprie ragioni. Senza questo, rimane l’incomprensione, il monologo, la maschera, o la chiacchiera. È il nulla che riconquista terreno.

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