Atalanta, notte
nella bacheca
dei cuori

Simone Moro lo dice sempre: non conta per forza arrivare in vetta. Conta aver dato tutto per arrivarci. E l’Atalanta la vetta l’ha veramente vista, accarezzata, sfiorata. Certo, così è atroce. Come a Dortmund, come a Copenaghen. Atroce davvero. Ma sono storie che restano scritte, che restano nei cuori, talmente belle che il risultato alla fine conta quasi poco. Come 32 anni fa, in quella notte da favola con il Malines: contava esserci ed averla giocata, il risultato poi diventa un dettaglio, o quasi.

Il simbolo di tutto è Gasperini, che al 97’, quando Muriel ha fallito una potenziale grande occasione per il 2-2, l’ha guardato e applaudendo l’ha consolato: «Va bene, dai». Forse persino lui, che non si arrende davvero mai, aveva capito che in fondo insistere non era più né utile, né giusto. Con una squadra che aveva messo alle corde, e resistito fin oltre i propri limiti, contro una squadra che ha le dimensioni di un pianeta, e l’Atalanta quelle di un satellite, a quel punto era giusto sorridere.

È mancato l’ultimo passo, quello per la vetta. Quello che avrebbe comportato una vittoria storica, la più importante dal 1907, e una semifinale di Champions che le grandissime squadre italiane quasi sempre vedono in televisione. E così la vedranno anche quest’anno. Ma tutti dobbiamo alzarci ad applaudire questi ragazzi. Perché sui social c’era sì chi annunciava tifo per l’Atalanta da ogni angolo del Paese, ma c’era anche chi pregustava uno scivolone storico, una goleada di Neymar e compagni che non avrebbero nemmeno dovuto sudare per far fuori l’intrusa della situazione. Adesso forse staranno zitti tutti. Certo, sorrideranno per l’eliminazione dell’Atalanta, ma l’Atalanta una volta di più ha tolto di mezzo quel miserabile e antisportivo argomento che tanti - troppi - le gettano addosso: che ci fanno, questi, in Champions? Ecco qui cosa ci fanno: costringono il PSG a fare i conti col fantasma di una sconfitta epocale. Costringono il PSG a vincere nei minuti di recupero, con l’Atalanta decimata e di fatto con un uomo in meno per l’infortunio di Freuler. Certo che il PSG ha avuto tante occasioni per metterla a posto già prima. E pareva quasi - fin da quell’occasione sbagliata all’inizio da Neymar - che la serata mandasse «segnali» favorevoli all’Atalanta.

Ma non bisogna piangere: bisogna applaudire. Bisogna vivere a pieno l’orgoglio di aver avuto l’Italia al fianco di Bergamo e della sua squadra. Quel che capita alle grandi squadre, quel che capita alla Nazionale: è capitato alla grande Atalanta.

Sì, grande. Non più la piccola. Grande perché ha giocato una finale di Coppa Italia, grande perché ha centrato per due volte di fila il terzo posto, grande perché dalle sconfitte più brucianti di questi anni è sempre rinata una squadra più forte, più consapevole, più pronta a fare un passo in più.

Fu così dopo Dortmund, fu così dopo Copenaghen, quando pareva che il sogno fosse già all’ultimo capitolo. Invece abbiamo vissuto una Champions da film, un’impresa sportiva degna dei racconti dei nonni ai nipotini. Fortunato chi c’è, come nella Coppa Italia del ’63, come con lo Sporting e il Malines nel 1988. Insieme a questi, nella bacheca del cuore entra di diritto anche questa notte magica, con ogni salotto di Bergamo trasformato in un pezzo di stadio.

L’Atalanta tornerà. Tempo una manciata di settimane e quella musichetta, che tanti di nuovo sentiranno solo in tv, ci risuonerà nelle orecchie. E l’Atalanta farà quel che sa fare benissimo: userà questa sconfitta per crescere, per fare un passo in più. Alla vetta, l’abbiamo visto, ne manca uno solo.

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