Auto green, le batterie europee un bel passo

MONDO. Dal 1990 a oggi, in Italia, sono state immatricolate in media circa 2 milioni di autovetture ogni anno.

Il 2022, da questo punto di vista, è stato per tante ragioni un «annus horribilis», con poco più di 1,3 milioni di immatricolazioni registrate, il punto più basso di una discesa già cominciata con la grande crisi finanziaria; per avere un termine di paragone, si pensi che nel 2007 le immatricolazioni erano state 2,5 milioni, quasi il doppio dello scorso anno. Siamo in un momento critico, dunque, per un comparto industriale che nel nostro Paese dà lavoro, tra produzione e commercializzazione di veicoli, ad almeno 300mila persone. Né il dimezzamento delle vendite di vetture nuove è l’unica novità che sta investendo il mondo dell’auto. Attraversiamo già da tempo, infatti, una rivoluzione dei sistemi di alimentazione delle quattroruote: tra le auto immatricolate in Italia lo scorso anno, il 27,7% era a benzina e il 19,6% a diesel, mentre il 34% aveva una motorizzazione ibrida, il 5,1% ibrida plug-in e il 3,7% elettrica pura (dati Unrae). Una tendenza più accentuata a livello europeo dove, nello stesso anno, sono state immatricolate 4,4 milioni di auto ad alimentazione alternativa, e la percentuale di auto puramente elettriche ha toccato il 12% del totale (quattro volte la quota del nostro Paese).

Come se questa doppia rivoluzione - quantitativa e qualitativa - non fosse sufficiente a terremotare un comparto che preso singolarmente è responsabile della quota maggiore di valore aggiunto della manifattura europea, c’è oggi una terza incognita da considerare: la crescente concorrenza cinese nel segmento delle auto elettriche. Secondo uno studio elaborato da Allianz, «la Cina è il rischio numero uno». Pechino, per gli analisti tedeschi, ha riconosciuto il potenziale dei veicoli elettrici già 15 anni fa e ha di conseguenza investito risorse imponenti per costruire un ecosistema competitivo. Risultato: nel 2022 la Repubblica Popolare ha venduto nel mondo il doppio delle auto elettriche rispetto a Europa e Stati Uniti messi insieme. Da qui al 2030, se tale tendenza continuasse inalterata, le Case automobilistiche europee perderebbero nel complesso oltre 7 miliardi di euro in profitti netti annuali. Da una parte infatti venderebbero meno auto in Cina, come sta accadendo già ora perfino a un colosso come Volkswagen che - pur insediato produttivamente - è spiazzato dalla concorrenza locale.

Dall’altra parte i marchi made in China potrebbero continuare a erodere quote di mercato qui in Europa, dove già oggi tre modelli di auto elettriche tra le più vendute sono costruite proprio nell’ex Impero celeste. Come può reagire il nostro continente? Le politiche commerciali dovranno giocare un ruolo, senza scadere nel protezionismo ma almeno ristabilendo condizioni di parità con mercati ben meno aperti del nostro, a partire da quello cinese. Soprattutto, poi, occorrerà accelerare sullo sviluppo di batterie elettriche «made in Europe», investendo anche su tecnologie di frontiera come gli accumulatori di energia allo stato solido. Va in tal senso l’inaugurazione, martedì scorso, della prima gigafactory europea a Douvrin, nel Nord della Francia, su iniziativa di una joint-venture composta da Stellantis (in cui è confluita l’ex Fca), Mercedes e TotalEnergies. Un impianto nato col sostegno dei tre Governi di Parigi, Berlino e Roma e che, secondo gli annunci, sarà replicato in Germania e poi a Termoli in Italia. Assicurare il rispetto di simili impegni e ampliarne se possibile la portata è l’unica strada per non ricadere prigionieri di nuove forme di «dipendenza» energetica, russa o cinese che sia, e salvaguardare interessi economici e sicurezza dei cittadini europei.

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