Autonomia, ideologia
e un poco di scienza

La questione dell’autonomia regionale differenziata è di quelle importanti. Va presa sul serio, ma andrebbe maneggiata con cura e sottratta ai puri simbolismi, perché la conversione autonomista di un Paese faticosamente unitario è materia molto complicata. Ne possono derivare conseguenze devastanti, così come potrebbe dare grandi opportunità, però con idee chiare e con una base di sostegno scientifica. Cose che per ora non si vedono.(Ri)emersa vent’anni fa come problema non risolto di identità nazionale, ha raggiunto la dignità dell’autonomismo passando attraverso il secessionismo e poi la velleità di cavalcarne gli umori con l’imperdonabile riforma del titolo V voluto dalla sinistra. Fallita nell’effimera stagione del federalismo fiscale, è ricomparsa su spinta referendaria per rilanciare la Lega dopo la sua crisi. Paradossalmente, il recente grande successo del salvinismo ha però snaturato le ragion d’essere delle origini, e crea problemi ad un partito diventato nazionale, che deve razionalizzare l’emotività dei referendum con le compatibilità reali.

Nel 2017, lombardi e veneti andarono al voto sull’onda del mito del residuo fiscale da trattenere in casa, e ai lombardi - buttando via 50 milioni per acquistare tablet ora finiti chissà dove, ma allora imposti dai 5 Stelle - fu raccontato che potevano riappropriarsi di 54 miliardi versati a Roma. Per Lombardia, Veneto ed Emilia, oggi, quei miliardi sono in realtà (Ragioneria dello Stato) solo 16,2 in tutto, di cui 11,4 per la scuola. Tolta come sembra la scuola, ci si sta accapigliando per 4,8 miliardi, da far salire massimo a 6,1.

Nel frattempo, tutto è cambiato, e la Lega deve fare i conti con il Sud, che si era aggrappato agli allora imprevisti alleati 5Stelle, ma li sta mollando, e c’è una nuova sensibilità «nazionale» attorno ad una piccola torta. Tutte le altre Regioni non vogliono star solo a guardare. Ci si contende una coperta corta, che se curasse più confortevolmente i ricchi, farebbe strillare i poveri. Per trasferire 23 competenze a Venezia, 20 al Pirellone e 16 agli emiliani, le compensazioni per 17 Regioni in attesa sarebbero spiccioli.

Ne vale la pena? Si consideri tra l’altro che se non si dovesse trovare in tre anni il giusto fabbisogno standard per i nuovi poteri, scatterebbe una media aritmetica, e le tre Regioni verrebbero automaticamente premiate, ma tutte le altre sarebbero definitivamente sacrificate. Facile prevedere che si ricomincerebbe da capo con il balletto di questi giorni.

E poi: se il Veneto diventa la Regione «speciale» promessa nel referendum, perché non la Campania? Soluzione finale: tutti «speciali»? Con che soldi? Secondo lo studio di Rizzo e Secomandi dell’Università di Ferrara per «La voce.info» le tre Regioni oggi in lizza, al netto della scuola, incrementerebbero comunque i trasferimenti pro capite del 17%. Senza scuola, del 21%. Non male, ma vallo a raccontare in Molise, visto che la spesa complessiva non deve cambiare e se c’è chi prende, c’è chi deve dare!

Il ribaltone riuscirebbe poi davvero a sostenere il cuore della questione, e cioè il passaggio virtuoso di potere da Roma alla periferia? Questo è il vero punto, e ciascuno può fare le sue considerazioni sulla qualità della classe politica regionale, e della relativa burocrazia, rispetto a quella nazionale. Tutto il malumore Nord/Sud suscitato dall’autonomia, è oltretutto aggravato da un bilancio di coalizione che delude le attese. Già, perché l’autonomia differenziata è un futuribile, mentre i risultati dell’ultimo anno sono misurabili, e secondo Tito Boeri, il blocco sociale settentrionale «si sente tradito» da mezze riforme. Il mediocre reddito di cittadinanza è stato più subìto che capito al Nord. Quota 100 riguarda pochi e non riforma la Fornero, mancando la quota 41 che interessa proprio ai lavoratori del Nord. Sul resto, il salario minimo rischia di irrigidire un quadro retributivo statico che nel settentrione è penalizzato dal costo della vita. E all’orizzonte c’è una promessa vaga sulle tasse, ma ci sono ancora 23 milioni di Iva da neutralizzare. Come finirà con l’autonomia non é ancora chiaro, ma la soluzione peggiore sarebbe quella di una altra mezza riforma contentino.

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