Bacchettata
industriale

Nel giorno in cui l’Europa ha bocciato la manovra del governo italiano, gli imprenditori, all’assemblea di Confindustria a Bergamo, mettono di nuovo sotto tiro l’esecutivo sovranista. Niente di nuovo, si dirà, perché è una linea tracciata da questa estate, pur con sfumature diverse. Ma contano il luogo, la terra eletta della Lega di Salvini (anche se il bersaglio diretto era soprattutto Di Maio), e il tono di parole reiterate e scandite con una certa passione, che hanno riassunto il disagio dell’ala marciante di una manifattura italiana a tutto tondo. Un messaggio chiaro e inequivoco da parte di Vincenzo Boccia e del leader bergamasco Stefano Scaglia, entrambi più volte applauditi dalla platea.

L’intervento più severo ed esplicito, consentito dalla diversità dei ruoli, è giunto però da Scaglia che, giocando d’attacco, ha smontato pezzo dopo pezzo l’impostazione della legge di bilancio, inserendo in questa censura anche lo stile comunicativo, il lessico aggressivo del governo del cambiamento e accomunando in questo preoccupato giudizio i due azionisti del premierato ombra. Con una scelta istituzionale dirimente, quando ha espresso stima e appoggio al presidente Mattarella. Attento, a scanso di equivoci, agli equilibri («anche l’opposizione non ci sta offrendo un’idea di società»), spingendosi però nell’inedito: fino a dire che si è superato il senso del limite, trovando così nell’applauso più lungo ricevuto la conferma di una sintonia diffusa.

In questo il presidente degli industriali bergamaschi s’è mosso sulla linea di Carlo Bonomi, che alla recente assise di Assolombarda aveva stroncato le scelte della maggioranza. Lo stesso Boccia, che nei giorni scorsi era attestato su un «attendismo ma con una serie di pregiudiziali», è parso più determinato, insistendo su quel che sta a cuore al mondo industriale, un orizzonte che abbraccia l’interesse generale: la crescita, quel che è avvertito come urgente necessità e che tuttavia latita a palazzo Chigi, segnalando così il peccato originale di questa maggioranza. Crescita, nel contesto di un mondo connesso che guarda al futuro, è stata la parola magica dell’assemblea: una costruzione fatta di scenografia e di ribalta d’immagini e di storie vissute (da Sacbo a Ryanair, da Amazon alle Ferrovie), portandosi dietro la prospettiva di una società aperta e inclusiva, stabilmente inserita in Europa. Stefano Paleari, già rettore a Bergamo e oggi commissario Alitalia, più umanista che tecnico, curiosando fra le parole dal Rinascimento alla postmodernità, ha fornito la cifra antropologica della connessione verso il futuro, della crescita come fattore di sopravvivenza e programma di vita piena. Sotto accusa un po’ tutto, ma soprattutto il reddito di cittadinanza (non in quanto tale, bensì nella formulazione e in ciò che sottende), l’infinita campagna elettorale e il destino delle grandi infrastrutture.

Su questo punto una nota rassicurante è giunta dall’assessore regionale, Claudia Maria Terzi, quando ha detto che il Pirellone intende andare avanti, inviando nel frattempo una stoccata diretta al ministro Toninelli. Il valore del lavoro, più crescita, meno debito pubblico: gli industriali danno il proprio contributo critico, ma costruttivo dentro questo triangolo. Non c’è posto evidentemente per la decrescita infelice, occorre invece sostenere gli investimenti di Industria 4.0, puntare sull’alternanza scuola-lavoro e rilanciare il Patto per la fabbrica firmato a suo tempo con i sindacati. Non c’è tempo da perdere, ammonisce Scaglia, nella ricerca di nemici e nell’attivismo di manine invisibili: l’industria è tornata ai tempi migliori, ma strada facendo qualche problema potrebbe ripresentarsi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA