Cambiare rotta
per uscire dalla crisi

Tutti ci chiediamo in che modo sia possibile reagire al declino economico e sociale presente da tempo nel nostro Paese, che lo choc pandemico ha così vorticosamente accentuato. Se lo è chiesto di recente anche Assolombarda che, per iniziativa del suo presidente Carlo Bonomi, attualmente presidente di Confindustria, ha proposto su questo tema un apposito studio ad un gruppo di economisti, giuristi e sociologi coordinati dal prof. Marcello Messori. Ne è scaturito un libro ricco di spunti dal titolo «Proposte per lo sviluppo» (La Nave di Teseo), nel quale si sottolinea la necessità di costruire un programma di «conversione» delle istituzioni, dell’economia e della società nella prospettiva di Italia 2030. Il punto di partenza dell’analisi è incentrato sul «dilemma diabolico» in cui l’Italia si trova oggi a causa della crisi indotta dal Covid-19.

Nell’immediato, infatti, si rende necessario attuare politiche di bilancio fortemente espansive per arginare l’emergenza in atto ed evitare danni irreparabili al tessuto produttivo del paese. La conseguente impennata del disavanzo pubblico, però, con il rapporto debito Pil che si avvia al 200%, rischia di aumentare in prospettiva i problemi di sostenibilità del nostro già abnorme debito.

L’analisi degli autori è del tutto condivisibile. La miopia, o forse sarebbe meglio dire la cecità di chi da tempo traccia le nostre rotte economiche con mano incerta e approssimativa, ha fatto sì che le complicazioni dell’oggi siano anche il fardello di una storia che viene da lontano. Una storia fatta di ristagno della produttività complessiva del sistema; di insufficienti investimenti privati e pubblici; di pesanti inefficenze della pubblica amministrazione; di misure fiscali inadeguate; di espansione abnorme dell’economia sommersa e di permanenti dualismi territoriali.

Le prime avvisaglie di questa deriva sono collocabili verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso, da quando, esauritosi il grande sforzo collettivo della ricostruzione post-bellica, si è assistito ad un continuo incremento del debito pubblico (dal 60% del Pil nel 1980 al 110% nel 1990); ad un progressivo scadimento della coesione sociale; al diffondersi di posizioni di rendita e all’affermazione di una concezione sempre più cinica e individualistica della società

Contemporaneamente, si è andato delineando il noto indebolimento della politica, con la progressiva crisi dei partiti legata principalmente a fenomeni corruttivi che, dopo la burrasca di Tangentopoli, hanno lasciato il campo al prevalere di leadership personali. Oggi, se si vuole contenere una crisi economica e sociale che già evidenzia risvolti drammatici, occorre uscire da questo «dilemma diabolico», utilizzando, con la massima efficacia, tutte le risorse che l’Europa ha messo a disposizione del nostro Paese. Tra queste, una straordinaria opportunità è offerta dai 209 miliardi del piano «Next generation Ue». Obiettivo del piano è realizzare una politica d’investimenti pubblici e di sostegno a quelli privati che costruisca le condizioni per una dinamica della produttività di sistema e per una crescita del Pil che assicuri sostenibilità prospettica al nostro debito pubblico.

Inutile sottolineare quanto dura e sfidante sia la messa a terra di un piano sanatorio di ripartenza capace di coniugare visione prospettica e un’efficace diagnostica e cura delle drammatiche contingenze della nostra contemporaneità. Per questa ragione, lo studio auspica la realizzazione di un’efficace «democrazia negoziale» che dovrebbe passare attraverso l’esercizio di una politica che non si limiti a negoziare tra interessi diversi, ma sappia comprenderli ed inserirli in un quadro più avanzato nel quale tutti possano riconoscersi.

Insomma, come agognato dall’Italia migliore che lavora e paga le tasse, così come già dalla più illuminata e antesignana letteratura italiana del Novecento, occorrerebbero al timone del nostro Paese persone serie, capaci, carismatiche ma non accentratrici, in grado di ascoltare e «pretendere» un continuo contraddittorio propositivo dai propri collaboratori.

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