Caos riapertura scuole. Serve un’intesa condivisa tra Governo e Regioni

La campanella della ripresa sta per suonare in piena quarta ondata, caratterizzata dalla variante Omicron, che non solo contagia a un ritmo largamente superiore rispetto alla Delta, ma aggredisce più delle altre varianti bambini e ragazzi. Si calcola che il 24 per cento dei contagi attuali (in Lombardia decuplicati in 10 giorni) sia under 19. Tutto questo mentre le scuole sono chiuse e i ragazzi per buona parte del loro tempo se ne stanno nel chiuso delle loro camerette a completare i compiti delle vacanze. Che succederà alla riapertura?

Ci si chiede se l’attuale regime sia sufficiente per reggere l’assedio di una variante più diffusiva, quando i contagi maturati fuori entreranno in classe o addirittura saliranno in cattedra (ci sono anche i docenti naturalmente, anche se tutti vaccinati con due o tre dosi, ma qualcuno di loro pur sempre suscettibile di contagio).

Un vertice straordinario tra i ministri Speranza e Bianchi, il generale Figliuolo e lo stesso premier Draghi ha cercato di mettere a punto una strategia, ma finora si sa poco (e questa mancanza di comunicazione aumenta la sensazione di caos per le famiglie).

Il ministro dell’Istruzione dichiara che bisogna assicurare la sicurezza e contemporaneamente la didattica in presenza, ma è una locuzione ovvia, come la circolare che ha ordinato di mantenere la distanza «quando è possibile», di ricambiare spesso l’aria nelle classi e poi, in sostanza, di sperare nella buona sorte.

In realtà il problema è che didattica in presenza e sicurezza allo stato delle cose sono inconciliabili. E che la Dad è fonte di inevitabili problemi formativi, sociali e soprattutto pone gli studenti in condizioni di apprendimento diverse, a seconda degli strumenti che la famiglia può offrire loro, dagli spazi abitativi, alla wi-fi al computer per collegarsi. Una barbarie formativa, peraltro in spregio all’articolo 3 della Costituzione che impone di mettere i cittadini in pari condizioni sociali eliminando gli ostacoli che si frappongono. Ma una barbarie necessaria, soprattutto se l’alternativa è prendersi il Covid e magari portarlo in famiglia (un rischio grave specie per i genitori no vax).

Le incognite sono reali perché la fascia primaria e secondaria di primo grado è in prevalenza una platea di non vaccinati. Solo il 9 per cento degli under 11 ha una dose di vaccino. Se da un lato l’obbligo vaccinale imposto agli insegnanti tutela gli stessi e il loro lavoro, non impedisce che il contagio possa viaggiare tra gli studenti e gli scolari (e anche gli stessi prof, perché il vaccino protegge, ma non elimina del tutto il rischio di contagio). E naturalmente, come detto, da lì passare alle famiglie, compresi i fragili. Al momento l’incertezza regna sovrana e la proposta delle Regioni aggiunge incertezza. Il documento stilato per far fronte alla pandemia è apprezzabile. Parla di ritardi nella riapertura, con il disco verde sottoposto al Comitato tecnico scientifico, quarantena al primo contagio (quando ormai la frittata è fatta) per le scuole dell’infanzia, al secondo per i bambini dai 5 agli 11 anni, al terzo per i più grandicelli, dopo i 12 anni, mascherina Ffp2 in aula (spesa prevista, ammesso e non concesso che le farmacie le vendano al prezzo politico di 0,75 euro ciascuna: 15 euro al mese: chi paga?), tampone molecolare o antigienico per tornare in classe (chi paga?). E ancora si discute – a proposito di regole - se distinguere tra vaccinati e non vaccinati.

Oggi ne sapremo di più. L’auspicio è che Governo e Regioni mettano da parte qualunque contrasto politico per trovare soluzioni concordate che mirino solo al bene comune e alla salute dei cittadini.

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