Consenso a Conte
ma il tempo stringe

È grande la confusione sotto il cielo della politica alle prese con la seconda fase della pandemia, quella dell’emergenza economica, non più incombente ma presente. La pazza estate 2019 ci ha consegnato un precarissimo equilibrio sia di maggioranza che di opposizione e proprio a questo insieme di debolezze la sorte ha consegnato il compito di timonare la nave Italia nella bufera peggiore. Per cui tutto, in realtà, mentre si agita è fermo, bloccato, paralizzato. Questo contesto congelato è il miglior viatico per il protagonista assoluto della crisi, Giuseppe Conte. Gli italiani vedono soltanto lui, in undici milioni domenica sera lo hanno ascoltato in tv mentre delineava la cosiddetta Fase 2, l’allentamento del lockdown. Secondo politici, esperti, commentatori, quella ennesima conferenza stampa a reti unificate è stata semplicemente «catastrofica» perché confusa, generica, paternalista, ecc.

Sta di fatto che il consenso popolare per il presidente del Consiglio continua a crescere: è un dato su cui tutti i sondaggi sono concordi. Naturalmente - la Storia d’Italia da questo punto di vista insegna - proprio questo protagonismo così popolare può tramutarsi nel suo contrario: Conte si candida anche a diventare il possibile colpevole numero uno della crisi economica. Se i soldi alle imprese e alle famiglie ritarderanno ancora, come un po’ tutte le provvidenze previste dai «poderosi» piani di salvataggio del sistema produttivo a suon di centinaia di miliardi che nessuno ancora ha visto, anche Conte vedrà bruscamente calare il suo consenso e la simpatia tramutarsi in rabbia. E così si infittiranno le manovre per sostituirlo nell’idea che il governo non sia in grado di gestire la «ripresa».

Ma qual è l’alternativa? Un governo di unità nazionale come spera Berlusconi, pronto ad entrare in un’area para-governativa in nome dell’emergenza e della sua appartenenza al Ppe di Angela Merkel? Probabilmente Conte non si tirerebbe indietro, ma sarebbe il terzo governo consecutivo da lui guidato a maggioranze opposte: un record mondiale. Ma è certo che Berlusconi è pronto a sostenere Conte nel ricorso al Mes che prima o poi si rivelerà indispensabile se vogliamo che i miliardi promessi si materializzino nei portafogli degli italiani. Ed è altrettanto certo che per i grillini il ricorso al Fondo Salva Stati è diventato un tale feticcio che sarà difficile per Di Maio (che ha già detto sì) convincerli in nome del «pragmatismo». È possibile che i pentastellati ingoino anche questo in nome del governo e della continuità della legislatura ma non avverrà senza strappi e nuove fuoriuscite (ora verso Fratelli d’Italia).

Quanto all’opposizione «sovranista», pare che Salvini abbia già fatto sapere, per la seconda volta, che la Lega sosterrebbe un governo di unità nazionale a patto che non ci sia Conte. Ai più tuttavia questa sembra la mossa di un leader che da agosto in poi ha perso la centralità politica che aveva conquistato in poco tempo, che vede il bottino elettorale diminuire pericolosamente (ora il Carroccio è quotato sotto il 26%, dal 34-35 dell’anno scorso), e che sembra privo delle armi necessarie ad un rilancio. L’esatto contrario di Giorgia Meloni cui basta stare ferma dove sta - contro qualunque alleanza «spuria» - per vedere i suoi consensi crescere: ormai il sorpasso sul M5S è imminente.

A questo punto è determinante l’atteggiamento del Pd (che molto ascolta tutto ciò che scende dal Quirinale). Le chiavi di un governo di unità nazionale , ove mai fosse possibile, sono nelle sue mani ma Zingaretti vi si deciderebbe solo se la situazione sociale diventasse esplosiva. La cosa più probabile è invece che il Pd opti per non cambiare nulla: si va avanti con Conte sperando che i grillini reggano e non si disperdano qua e là.

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