Corsa al vaccino,
gara senza unità

E se fosse vero? Non fatevi ingannare dalla pletora di nobili questioni di cui adesso sentite parlare. La vera domanda è quella: e se fosse vero che un Paese considerato dai più «una pompa di benzina travestita da nazione» (copyright John McCain), cioè la Russia, sempre descritto sull’orlo dello sfacelo e governato da un uomo dileggiato perché temuto, cioè Vladimir Putin, è arrivato primo nella corsa internazionale al vaccino anti Covid? Al momento ci sono 27 vaccini sottoposti a sperimentazione clinica in diverse parti del mondo, e altri 165 allo studio.

Un’impresa che pretende investimenti enormi. Gli Usa, da soli, hanno già speso almeno 2 miliardi di dollari per sostenere tre ricerche assai promettenti nell’ambito dell’operazione «Warp Speed», con l’obiettivo di produrre 300 milioni di dosi di un vaccino efficace entro il gennaio 2019. E adesso dovremmo credere che quegli straccioni antidemocratici dei russi sono arrivati primi? Lo smacco sarebbe atroce, ecco perché il brivido corre nelle cancellerie occidentali e nelle loro propagande. In realtà, il mondo scientifico russo potrebbe benissimo riuscire nell’impresa. Soprattutto se pensiamo alle ramificazioni dell’apparato industrial-militare e ai suoi laboratori segreti. Vi ricordate i tecnici russi, militari appunto, che sanificarono a tappeto nella Bergamasca, in una missione che era di solidarietà e di raccolta dati allo stesso tempo? Ecco, appunto. Dopo di che, è possibilissimo che Putin, per dare per primo il fatale annuncio, abbia imposto ai suoi scienziati di tagliare qualche angolo e di esagerare i risultati. E fanno bene gli scienziati del resto del mondo a chiedere lumi prima di credere a certe dichiarazioni.

Ma il punto non è questo. Se Putin si sbaglia, esagera o mente, lo scopriremo presto. Prima o poi dovrà partire, in Russia, una campagna di vaccinazione. E tutti sapremo. Il vero dramma è che nemmeno di fronte a un virus che, finora, ha contagiato 21 milioni di persone nel mondo e ne ha uccise 750 mila, le nazioni più sviluppate hanno saputo unirsi in uno sforzo coordinato e globale. A una pandemia globale abbiamo risposto con un nazionalismo scientifico degno di altri tempi.

Si sono inoltre dispiegate due strategie che rispondono perfettamente alla natura dei protagonisti. Cina e Russia, per quel che se ne sa, sono andate in fretta alla sperimentazione sull’uomo, cosa che desta giustificate critiche e obiezioni. Ma Usa e Regno Unito si sono buttati ad accaparrarsi le forniture dei vaccini in fase di sperimentazione, con l’idea che al momento giusto i loro magazzini saranno pieni di dosi mentre gli altri dovranno arrangiarsi. Gli Usa hanno investito somme gigantesche in accordi con le case farmaceutiche che lavorano al vaccino, prenotando forniture per almeno un miliardo di dosi. Non a caso l’Italia, per non finire stritolata tra tanti giganti, è entrata con Francia, Germania e Olanda nell’Alleanza per un vaccino inclusivo, per raggiungere accordi con i produttori garantire un’adeguata distribuzione del vaccino in Europa.

È piuttosto evidente che questa esasperata competizione non accelera la corsa. Semmai la rallenta. O per meglio dire: se le grandi nazioni avessero collaborato tra loro, mettendo in comune dati, esperienze e cervelli, al vaccino saremmo arrivati più in fretta. Purtroppo il mondo va come può, e non come dovrebbe. Succede con il Covid e la sua cura ciò che succede in altri campi. Per esempio nella lotta contro il riscaldamento globale e per la sostenibilità dell’ecosistema, sempre minata dagli interessi economici e industriali delle singole potenze. O nel regolamentare lo sviluppo tecnologico. Il continuo scontro tra Usa e Cina fa capire che anche lì si cerca la supremazia, e non un equilibrio che renda positivo e non perverso il prevedibile incontro tra intelligenza artificiale e biotecnologie.

Siamo lontani dai tempi di Albert Sabin, il virologo americano di origine polacca che inventò il vaccino contro la polio, non volle mai brevettarlo, non guadagnò un soldo e anzi, negli anni della guerra fredda, regalò il ceppo virale allo scienziato Mikhail Ciumakov, in modo da garantire lo sviluppo del vaccino anche nell’Urss. Un ricordo che genera una proposta: se Putin ha ragione, se il primo vaccino anti-Covid è russo, non sarebbe carino da parte sua ricambiare il gesto di Sabin?

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