Costi e benefici
I dubbi su quota 100

Quota 100, cioè la facoltà di anticipare (con tagli) l’andata in pensione se si sono raggiunti 62 anni di età e 38 di contributi non è ancora legge, ma ha già raccolto 80 mila domande, di cui 30 mila nel pubblico, qui con qualche inquietante problema di posti scoperti in servizi essenziali. Stiamo parlando di una platea limitata e di costi elevati per le casse pubbliche. Gli interessati sono al massimo 300 mila all’anno fino al 2021, poi l’esperimento finisce, su un totale di 17,8 milioni di pensioni: 38 anni di contributi escludono di fatto categorie discontinue come edili, dipendenti di piccole imprese, agricoltori. Difficile trovare donne in genere e lavoratori del Sud con quelle contribuzioni. Penalizzati i giovani per i quali si blocca l’aggiornamento dei contributi.

Chi ne ha diritto deve comunque prendere una decisione di vita. Disorientati dalla propaganda politica, molti escono anche se preferirebbero continuare, salvare l’importo intero e non buttarsi sul lavoro nero, incentivato dal divieto di nuove occupazioni. Per fare un esempio diverso, la crisi Carige ha provocato in 60 giorni la fuga di 3 miliardi di depositi. Quando non ci si fida dei polveroni e si temono altri cambiamenti, si taglia la corda. L’unica cosa certa è che Quota 100 lascia intatta la legge Fornero, tanto che non c’è stato bisogno di normare il taglio degli assegni (dal 5,7% al 17,2% nei primi tre anni, fino al 34% più avanti): col contributivo la riduzione è automatica e occorreranno 20 anni perché si recuperino i valori precedenti. Ma nel frattempo, i sessantenni saranno ottantenni.

Problemi complicati, insomma, sia individuali sia generali. Secondo l’esperto di area Lega, Alberto Brambilla, l’onere va ben oltre i 7 miliardi stanziati per il 2019. Il costo complessivo triennale lo valuta di 40 miliardi, e infatti la legge stessa prevede che, finiti i soldi, si chiuda il rubinetto. Da qui la corsa che intaserà gli sportelli, già assediati per il reddito di cittadinanza.

Ma secondo la Ragioneria dello Stato, nell’arco del triennio, il costo vero della miniriforma Di Maio-Salvini è di 52,4 miliardi (più del doppio dei disponibili), da aggiungere ai 266,7 (15% del Pil) della spesa pensionistica. Secondo l’Osservatorio di Cottarelli, invece, il costo decennale è di 90 miliardi, perché una volta accontentati i primi, sarà ben difficile negare una proroga a tutti gli altri. Il rubinetto resterà aperto. Combinando questi dati con la recessione, il Fmi parla di un’incidenza delle pensioni sul Pil del 20,5% nel 2040 e di una riduzione significativa solo 30 anni dopo. Giusto chiedersi quali saranno intanto le voci di spesa anche sociale da sacrificare o le tasse da aumentare, come l’Iva, che varrà 23 mila miliardi già nel 2020.

Era facile alimentare una polemica anti-Fornero, far qualche mediocre ironia sulle sue lacrime. Più difficile realizzare cancellazioni vere, con una legge di Bilancio stravolta in due mesi. Per alzare il Pil bisognerebbe allargare la forza lavoro, che in Italia è 10 punti sotto la media europea, ma non solo si ostacola l’inclusione di almeno 170 mila immigrati regolari ritenuti indispensabili dalle imprese, ma si eroga un reddito a chi non lavora e appunto una pensione anticipata a chi lavora. Nel pubblico sarebbe più facile il ricambio ma, piccolo particolare, la stessa legge Tria blocca le assunzioni fino a dicembre…

Quando si contesta un criterio che era quanto meno oggettivo (aumento della speranza di vita) non c’è possibilità di programmare con buon senso, e 100 mila impiegati pubblici in uscita da settembre possono creare scompensi nei servizi, con pazienti senza medici di famiglia e insegnanti che faranno ripartire la roulette delle supplenze. Forse proprio qui, più che altrove, un’analisi costi-benefici non ci sarebbe stata male.

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