Da Ischia al pos, Italia condonata

Ma insomma, fu condono o non fu condono quello del 2018 del governo Conte?

Nell’attesa di chiarire il mistero proviamo ad andare oltre le accuse velenose di Matteo Renzi, la difesa d’ufficio dell’interessato, le foto di Toninelli che esulta con il pugno chiuso alla Che Guevara («hasta la sanatoria siempre»), per enunciare una pacifica e incontestabile verità: di condoni è lastricata la storia d’Italia fin dal 1861, per non parlare delle epoche precedenti. Pare che il primo fosse stato quello dell’imperatore Adriano, 118 dopo Cristo, per ingraziarsi i romani che non pagavano le tasse (ce n’erano anche allora), ma non è detto che gli archeologi ne trovino qualcun altro fino ai tempi di Romolo, 753 avanti Cristo. L’Italia è un ecosistema delicato e complesso, unico al mondo, con un territorio molto fragile, scarso di materie prime e ricco di pietre pronte da metterci sopra in caso di scempi abitativi. Di condoni ne abbiamo di tutti i tipi, edilizio, fiscale, contributivo, valutario, amministrativo. Può assumere nomi di fantasia, per non turbare troppo chi ha pagato fino all’ultimo centesimo le tasse: «scudo fiscale», «strappa cartelle», «tregua fiscale», «sanatoria», che sa tanto di malato e non di furbo.

Di solito viene infilato in decreti che hanno titoli e contenuti completamente diversi, attraverso la porta di servizio dell’emendamento, come quello attribuito a Conte su Ischia che si chiama infatti «decreto Genova» e riguardava principalmente il Ponte Morandi. Venghino signore e signore nel Paese dei colpi di spugna. Persino sul Pos il Governo ha dato una «pulitina» a vantaggio dei contribuenti che non sono in regola. Dal 1861 ad oggi ne sono stati varati di vario tipo con una media di uno ogni due anni (media abbiamo detto, non una cadenza, poiché in periodi di dodici mesi, in passato, ne sono stati varati anche 10). Per stare alla storia recente dei condoni edilizi, il primo degli ultimi 50 anni è stato quello del Governo di Mariano Rumor (ministro delle Finanze Emilio Colombo), nel 1973. Nel 1985 il premier Bettino Craxi fece la doppietta: condono edilizio e concordato fiscale, al dicastero di via XX Settembre c’era Lanfranco Dini, che peraltro veniva dalla severissima Banca d’Italia.

Ma si può dire che tutta la classe politica fece ricorso a questo strumento, persino Mario Draghi, sì proprio lui, che ha cancellato con il decreto Sostegni le cartelle esattoriali fino a 5mila euro dal 2000 al 2010. Non che nelle casse siano mai giunti grandi tesori. Più che altro si può parlare di grasso che cola. La Cgia di Mestre ha calcolato che con il gettito prodotto da questo tipo di provvedimenti dal 1973 al 2003 si sono ricavati 100 milioni di euro, pari grosso modo a un anno di evasione fiscale. In pratica lo Stato si è ripreso un trentesimo di quel che gli spettava e ha lasciato perdere sugli altri due miliardi e novecento milioni di euro. Non certo un grande affare. Ma ce ne sono stati anche due, di condoni, detti «tombali», perché il contribuente regolarizzava una volta per tutte la sua posizione: chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto, scurdammoce ’o passato.

La cultura ebraico-cristiana del perdono (nei Giubilei venivano cancellati i debiti) e la morale cattolica c’entrano poco con la storia recente di questa specialità tipicamente italiana, che è sempre stato un mezzo per acquisire consenso, evitare tensioni sociali e soprattutto raccattare gettito laddove era difficile e complicato esigerlo. Quello edilizio, utilizzato soprattutto nel Mezzogiorno, produceva pace sociale, voti e soprattutto evitava fastidi amministrativi spesso irrisolvibili. Villette sulla creta?

Colate di cemento in riva al mare? Case inerpicate sulle colline? Una bella sanatoria e voilà, tutto risolto. Aveva anche un piccolo difetto - a parte lo sciagurato e primario pericolo di causare vittime e sfollati in caso di disastri naturali - questa «perdonanza» generale: quello di mortificare gli onesti a vantaggio dei furbi, che invece di dare a Cesare quel che è di Cesare se lo facevano condonare. A ben vedere, aveva anche lo spiacevole inconveniente di incubare e moltiplicare il ricorso all’abusivismo, perché una volta costruita la casa sulla sabbia, sul fango, sul greto del fiume o sulla faglia sismica, bastava aspettare il prossimo condono per non avere problemi e tanto peggio per l’ecosistema. Poi è arrivato il riscaldamento climatico che provoca bombe d’acqua, fa tracimare i fiumi, si porta in valle pezzi di montagna. Mentre non si ferma l’assestamento delle faglie che provoca i terremoti e gli tsunami. Il problema è che lo Stato condona, ma la natura no.

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