Diritto d’autore
Giustizia è fatta

Martedì 26 marzo è stato un bel giorno per la libertà di informazione. Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva la nuova direttiva per il diritto d’autore in Rete, frutto di più di tre anni di contrattazioni e numerose modifiche, anche per via di un’intensa attività di lobbying delle multinazionali del digitale, che hanno premuto su molti parlamentari di Strasburgo di tutti gli schieramenti.

Un riconoscimento per giornali, case editrici, discografiche e cinematografiche, che proprio in questi anni stanno vivendo una crisi strutturale molto grave, per molti aspetti devastante, proprio a causa dell’estensione dei loro contenuti intellettuali attraverso Internet, senza confini, controlli e soprattutto senza remunerazioni. Quanti internauti ormai si nutrono di informazioni sui social senza mai leggere nemmeno un giornale, nemmeno digitale? Una pacchia, quella delle multinazionali del digitale, durata decenni grazie al Far West della Rete, dove ha prevalso la legge del più forte.

I contraltari di questo mondo novecentesco (che però ancora fornisce contenuti) è infatti quello delle piattaforme tipo Google o Facebook. Questi colossi si spartiscono gran parte del mercato della pubblicità online (in Europa vale 48 miliardi di euro all’anno) anche grazie alla distribuzione dei contenuti altrui.

Ora invece, per ospitare contenuti protetti dal copyright, i vari aggregatori e distributori tipo Youtube dovranno accordarsi con i detentori dei diritti e soddisfare le loro richieste. I giornali rientrano in questa direttiva poiché si potranno rilanciare gratuitamente solo estratti (anche se la definizione è stata lasciata appositamente sul vago) e non articoli integrali come avviene finora. Forse la legge europea riuscirà a tamponare in parte la crisi della carta stampata, da cui proviene la maggior parte dei contenuti editoriali poi diffusi nel Web. Inoltre le nuove norme, oltre a garantire un equo compenso per gli autori di articoli, brani musicali, video e quant’altro, contribuiranno ad arginar la peste delle «fake news».

Tutto questo impatterà sull’economia creativa e digitale dell’Europa? Questa è la motivazione dietro la quale si sono nascosti i colossi del Web. In realtà non c’è nessun pericolo poiché qualunque scambio privato di contenuti rimarrà libero. Ma se il contenuto diventa un modo per fare business attraverso la pubblicità o altro, allora è giusto tutelare il diritto d’autore. Un esempio può chiarire il principio sotteso alla direttiva. Oggi se compro un cd di musica e lo passo a un amico per farglielo ascoltare non succede nulla. Ma se organizzo una serata in discoteca o una manifestazione e lo faccio ascoltare a migliaia di persone, facendo comprare loro il biglietto, allora è legittimo esercitare i diritti di copyright. Trasformate il cd in un contenuto digitale (un video ad esempio) e la discoteca o la manifestazione in un aggregatore, tipo You Tube, e il principio rimarrà lo stesso.

Quanto alla libertà di informazione garantita dal digitale, questa non viene compromessa. Chiunque potrà diffondere contenuti opinioni o prodotti artistici in Rete senza restrizioni. È un falso problema quello della limitazione della libertà di informazione in Rete a causa dei diritti del copyright. Si tratta solo di garantire il frutto del lavoro intellettuale. Che deve essere garantito anche dal punto di vista finanziario, per non morire. Per questo spiace aver visto i deputati dei Cinque Stelle votare no in nome di una «pretesa ferita alla libertà della Rete». Che rimane pur sempre un mezzo, e non un feticcio cui sacrificare tutto, compreso il lavoro di chi scrive o compone.

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