Effetto Covid
sulla tragedia
emigrazione

Il legame c’è ed è evidente. Tra le vittime di Covid-19 e le vittime delle migrazioni s’intreccia una per niente sottile linea rossa che mette tutti davanti alla follia della globalizzazione selvaggia. Oggi la pandemia ingoia vite a tutte le latitudini in un vortice di combinazioni di fattori nulla affatto virtuali, ma assai concreti che vanno dalla perdita inarrestabile di posti di lavoro fino alle crisi alimentari che ormai in diversi Paesi rendono a molti addirittura difficile l’accesso al cibo primario. Il Papa ieri se n’è accorto e ha chiesto di pregare per tutte le vittime del coronavirus. A ben vedere denuncia l’intreccio perverso da mesi, sostenuto nelle sue parole da numerosi Rapporti di Caritas Internationalis e da quelli di altre istituzioni sovranazionali. L’ultimo è quello della Banca Mondiale, rilanciato da intervista all’agenzia francese Afp dal suo direttore David Malpass.

La Banca Mondiale non è senza colpe, così come il Fondo monetario internazionale, che con le rispettive politiche economiche hanno stretto un cappio al collo dei Paesi più poveri costringendoli spesso a pagare debiti impossibili e a programmare politiche economiche che hanno avuto come solo risultato l’aumento della povertà e delle diseguaglianze. Eppure anche loro se ne sono accorti e ora sostengono la moratoria sul debito globale dei Paesi più poveri decisa al G20 dello scorso aprile.

Ma non basta, perché la pandemia se non si cambiano le politiche di cooperazione, di accoglienza e di abbattimento dei muri di terra o di acqua, renderà ancor più strutturale la tragedia della migrazione. Covid-19 si aggiunge alle guerre dimenticate, alle crisi climatiche, alle lotte per le materie prime, tutti eventi che contribuiscono ad ingolfare le rotte dei migranti e ad allungare la lista dei morti. L’ultima stima, riveduta al rialzo, della Banca Mondiale è di 100 milioni di nuovi poveri, cioè gente che non sopravvive più con 1,9 dollari al giorno, soglia del dramma. Insomma il conto economico decresce e si alza il numero di chi non ce la fa ed è costretto a cercare la vita altrove.

Inoltre più sarà ampio il tempo della pandemia e maggiori saranno coloro che si infileranno nel cono d’ombra della povertà estrema ritornandoci magari dopo esserne usciti a fatica. È il caso del Brasile che sta tornando al galoppo ai tempi precedenti al successo della politica «Fame zero» dell’ex presidente Lula, che aveva fatto emergere dalla povertà estrema oltre 40 milioni di persone. Per i migranti tutto è più difficile. Francesco ha ricordato le tragedie del passato dal Messico al Mar Mediterraneo, i «caduti nei viaggi della speranza». Ma oggi nei confronti dei migranti si aprono altri capitoli tragici dove è il razzismo a dettare spesso comportamenti che una democrazia non può tollerare.

La scelta è anche semantica. Così gli immigrati sono «infetti» quando viene riscontrato il virus, mentre tutti gli altri cittadini sono solo «positivi». Ci sono amministratori locali che gridano all’untore e firmano ordinanze per cacciare tutti i migranti dal loro territorio, ben sapendo che essi sono i più controllati dal punto di vista sanitario. Se fuggono dalla quarantena è perché esse sono impossibili ed il problema dunque torna ad essere quello dell’accoglienza dignitosa, anzi più dignitosa in tempo di pandemia. Indicare una categoria come infetta dovrebbe essere causa di allarme per la democrazia italiana. Purtroppo non è così. Francesco prega anche per questo: sulla intolleranza e la xenofobia non si costruisce nulla, mentre un futuro di pace, di sistemi sanitari efficienti, di solidarietà tra tutte le vittime ha bisogno di giustizia e di integrazione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA