Emergenza energia
Cambiare rotta

Ogni componente della società italiana, classe anagrafica o classe sociale o gruppo professionale o lobby economica che sia, ritiene quasi sempre di avere propri interessi specifici che sono relativamente trascurati rispetto a quelli di altri gruppi. Per questo, attraverso una mobilitazione politica, sindacale o d’opinione pubblica possibilmente più efficace di quella degli altri gruppi sociali «concorrenti», ciascuna di tali componenti del Paese tenta ciclicamente di riportare le proprie priorità in cima all’agenda politica o del dibattito pubblico. È il normale gioco democratico che oggi però è di fronte a una vistosa eccezione: la crisi energetica che investe con virulenza crescente la totalità degli italiani, lavoratori e imprenditori, consumatori e produttori. Partiamo dai consumatori, ai quali è ormai noto che per la famiglia tipo dal 1° gennaio l’aumento della bolletta dell’elettricità sarà del 55% nel primo trimestre dell’anno, e per quanto riguarda il gas del 41,8%.

Il motivo dell’impennata, in sintesi, è dovuto al rialzo dei prezzi dei prodotti energetici all’ingrosso (quasi raddoppiati nei mercati spot del gas naturale e dell’energia elettrica nel periodo settembre-dicembre 2021) così come dei permessi di emissione di CO2. Le bollette sarebbero ancora più salate se il Governo Draghi non avesse stanziato già 9,5 miliardi di euro per azzerare gli oneri e potenziare i bonus sociali. Più in generale, ha fatto sapere la Bce, l’inflazione nell’area dell’euro ha raggiunto a novembre 2021 il massimo storico del 4,9% e la componente energetica ha determinato più di metà di questo balzo.

In un simile momento di difficoltà per tante famiglie, guardare all’interesse nazionale equivale ad acquisire la consapevolezza che il problema energetico è ancora più grave di quello che appare nelle nostre bollette. Esso riguarda infatti allo stesso tempo settori importanti del mondo produttivo. Secondo una previsione di Confindustria, quest’anno la bolletta energetica del sistema industriale potrebbe ammontare a 37 miliardi di euro (a parità di produzione rispetto al 2021), ben oltre i 21 miliardi sborsati dalle industrie nel 2021 per approvvigionarsi di energia, addirittura quasi cinque volte di più rispetto agli 8 miliardi del 2019 pre pandemia. Un fardello inatteso che peraltro grava sull’Italia ancora più di quanto non faccia su altri concorrenti industriali del pianeta.

Come ha osservato Francesco Buzzella, presidente di Confindustria Lombardia, «l’incidenza della componente energia sul conto economico [delle aziende] è passata dal 10-15% a oltre il 50%, anche perché c’è una concorrenza estera che non ha questi costi: negli Stati Uniti il gas costa circa 11 dollari per megawattora, da noi 87 euro». In Asia si ricorre maggiormente al carbone nei momenti di emergenza, e così – per esempio – l’acciaio inox è quotato attualmente dai produttori siderurgici cinesi a circa 600 euro la tonnellata in meno rispetto a quello europeo. Senza contare che gli apparati produttivi di Paesi pure a noi vicini come la Francia, grazie a un maggiore equilibrio del mix energetico nazionale, potrebbero resistere meglio alla buriana economica.

Per i produttori italiani, se l’emergenza dovesse continuare, sarebbe difficile sfuggire a un destino tutt’altro che roseo, fatto di aumento dei costi dei prodotti finiti e perdita di competitività a livello globale. Di nuovo, allora, i problemi delle aziende si riverbererebbero su acquisti e possibilità di lavoro di tutti gli italiani. In un circolo vizioso che si può interrompere soltanto con una presa di coscienza forte e generalizzata, scevra di antiche incrostazioni ideologiche, sulla questione energetica in Italia.

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