Evasione fiscale
Ora azioni concrete

Sulla lotta all’evasione fiscale, il governo deve evitare l’ennesimo caso di velleitarismo, cambiando l’approccio, la cifra di comportamento e comunicazione. Bene in verità non ha cominciato, mettendo nel programma le solite manette agli evasori, che non risolvono nulla, e vellicano soltanto il giustizialismo di marca pentastellata, sempre più stucchevole. Piace a chi ama gli effetti spettacolari, che riempiono di stupore estetico, stile porti chiusi all’8% del traffico, lasciando passare il 92%... Molto rumore per nulla.

Appare invece ben più pragmatica, in alcune dichiarazioni di Conte, l’intenzione di guardare all’origine del fenomeno, anziché correre dietro a processi decennali che finiranno con l’assoluzione, perché i «grandi evasori» sono in realtà dei grandi elusori, che la legge la rispettano fin troppo, utilizzandone gli interstizi, o vanno in qualche paradiso estero. Cose aggredibili non con chiacchiere da bar ma attraverso un concerto addirittura mondiale. Il combinato disposto delle pene scontabili e dei reati davvero a sentenza, fa si che nessuno vada in galera. Meglio se mai sanzioni amministrative, che almeno portano denaro più velocemente all’erario.

Molto più concreto ci sembra affrontare seriamente il problema dei pagamenti, a cominciare non dai tetti al contante, che vengono vissuti come una violenza e sono aggirabili a prezzo di indecorosi maneggi, ma da un sistema di incentivi-disincentivi, indirizzati a far crescere l’uso dei mezzi elettronici. Quello che si sta studiando è un modo che dovrebbe far crescere il ricorso ancora così basso alle tecnologie. Siamo al 16% di tutto ciò che fa parte delle transazioni delle famiglie, circa 230 miliardi su un montante di almeno 1.500 miliardi. Se con gli incentivi si arrivasse almeno a 500 miliardi, avvicinando la media europea attualmente più alta del 10%, il premio ai consumatori varrebbe 5 miliardi per ogni punto (10 con il 2%) ma lo Stato recupererebbe in via permanente base imponibile per 250 miliardi. Insegna niente il successo della fatturazione elettronica, che ha portato denaro fresco all’Erario già in questo 2019 per 2-3 miliardi, raddoppiabili l’anno prossimo?

Certo, la questione va maneggiata con cura. La misura rivolta ad incentivare i consumatori, dovrebbe non essere penalizzante per gli intermediari. In particolare, gli esercenti devono vedere diminuire ulteriormente i loro costi, e così le banche e i soggetti che emettono le carte. Non dimentichiamo peraltro che il contante costa miliardi (movimentazione, sicurezza, capillarità) alle banche. Quanto all’ostacolo della scarsa digitalizzazione della popolazione italiana più anziana, bisognerebbe incentivare la diffusione dei pagamenti anche piccoli per semplice contatto, con vantaggi enormi di sicurezza.

Problemi risolti? No, sarebbe solo l’avvio, ma il sommerso comincerebbe a tornare a galla. Tutto questo transito di vendite tramite memorie digitali potrebbe inoltre essere il primo passo verso la madre di tutte le battaglie fiscali: la contrapposizione degli interessi, che fa cadere la complicità tra fornitore e cliente. Perché poi, intendiamoci bene, quei 100/150 miliardi di evasione stanno in un ambito ben circoscritto. Il gettito delle imposte dirette viene per il 90% da lavoratori dipendenti e pensionati, tassati all’origine, magari con qualche secondo lavoro (lezioni private, artigiani non inquadrati) che sembra valga il 4% dell’evasione. Il problema più grosso sta però altrove, nel mondo non dell’Irpef ma dell’Iva, che non sembra rispondere bene all’agevolazione fino a 65 mila euro, che anzi ha portato in area Iva dipendenti a basso stipendio.

Vedremo cosa ne esce, ma già se il metodo non sarà più quello di fare solo la faccia feroce per ingannare platee plaudenti, e sarà più concreto, andando per gradi, circoscrivendo le aree sensibili, sarà un primo passo.

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