Famiglia usata
e dimenticata

Sulla famiglia è giusto discutere, ma sarebbe anche ora di passare dalle parole ai fatti e chiudere in un cassetto propagande e provocazioni. Se invece si preferisce gridare qualche slogan ai quattro venti allora è evidente che la riflessione politica, cioè il confronto tra argomentazioni ragionate in vista dell’adozione di decisioni sagge, viene sbaragliata da un qualunquismo urlato nei megafoni classici e via social. Perché sulla famiglia bisogna litigare e dividersi su posizioni radicali? Il problema è molto semplice: in Italia la famiglia è in crisi perché la politica l’ha dimenticata e continua a farlo. Un esempio estremo? Oggi sui funghi si paga l’Iva al 5 per cento, sui pannolini al 22 per cento. Cosa serve a contrastare l’«inverno demografico» denunciato dal Papa? I funghi o i pannolini? Sulla famiglia la distrazione dura da decenni e tutti i governi hanno responsabilità precise. Conciliazione famiglia-lavoro? Mai fatta.

Siamo il Paese con il minor numero di donne che lavorano e con la più bassa natalità d’Europa. Politiche fiscali, politiche per la casa, welfare familiare, sostegno alle coppie nella loro capacità generativa, sostegno insomma alle relazioni che portano un beneficio strutturale alla società, niente di niente. La disattenzione e la negligenza è stata totale, anche da parte del mondo cattolico, dove forse si è pensato che bastasse affermare la non negoziabilità di un valore considerato eterno per evitare la crisi. Non basta dire che una donna sbaglia ad abortire se poi non si creano le condizioni perché ciò non avvenga.

Politiche audaci non se ne sono mai viste, così la famiglia è diventata terreno di scontro e contrappunto di contrasti dove misurare la forza di opposti fondamentalismi. O si strumentalizza o si banalizza. C’è chi nega diritti (e quindi non si pone neppure il problema dei doveri) in nome di principi non negoziabili e c’è chi, al contrario, svaluta ogni ragionamento etico arroccandosi in un altrettanto pericoloso integralismo agnostico. E quando sono le piazze a confrontarsi e a dividersi tra caudilli arruffapopolo e colorati agitprop non ce n’è più per nessuno. La politica ha illuso le famiglie con decine e decine di disegni di leggi strutturali sistematicamente spariti e al contempo le ha lusingate mitigando la rabbia con bonus elettorali, una tantum, approcci senza alcun respiro strategico. E così continua. Periodicamente qualcuno organizza convegni, marce, attrezza piazze. Periodicamente si rinnova una sorta di corporativismo familiare nazionale e ora anche sovranazionale, ma tutto sottomesso alla imprevedibilità delle circostanze, allo sfruttamento del consenso, al gusto, al calcolo degli interessi.

Il benessere della famiglia e il valore che deriva non dalla somma degli individui, ma dalla qualità delle relazioni, viene solo simulato per furberia e contemporaneamente distrutto dalla mancanza all’orizzonte di qualsiasi politica consolidata e strutturata, fuori dalla retorica delle bandiere alzate e delle anime belle che pasticciano tra richiami nevrotici a valori dello spirito e regole del gioco che ne polverizzano l’attuazione. Non fa bene a nessuno rivendicare la natura, la rilevanza e la centralità della famiglia se poi essa diventa terreno di scontro di ultrà noti e meno noti, con l’aggravante dell’uso strumentale del Vangelo. I cattolici nella storia della Repubblica, e anche prima, hanno sempre avuto passione per la politica e hanno sempre denunciato il dramma di una politica senza pazienza e senza scrupolo, non abituata alla complessità delle cose. Hanno sempre detto che la politica non è il luogo dove si confessano i valori e se ne agitano i simboli, ma il luogo dove si creano le condizioni perché essi vengano attuati. Guardando a Verona la contabilità su questo piano non torna.

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