Femminicidio, serve
prevenzione e cultura

Si sarebbe salvata Zinaida Solonari, uccisa nel fiore degli anni dal marito, se la sua seconda denuncia, compilata dai carabinieri dieci giorni dopo la prima, fosse stata ricevuta e recepita dalla Procura? Nessuno è in grado di prevedere o spiegare l’imponderabile. Forse non sarebbe cambiato molto vista la velocità fatale con cui si sono svolti i fatti.

Del resto il cosiddetto «Codice rosso» contro le violenze domestiche e di genere prevede procedure molto veloci, con un canale prioritario per le indagini che riguardano i reati di stalking, maltrattamenti, violenza sessuale e lesioni commesse in ambito di convivenza: le vittime che decidono di farsi avanti perché il proprio partner comincia ad essere instabile, minaccioso, possessivo o addirittura violento devono essere sentite dai pubblici ministeri entro tre giorni. Così è stato anche per Zinaida.

Le pratiche, con la nuova legge varata nel luglio scorso, non vengono lasciate a «decantare», magari nella speranza che il problema si risolva da sé, ma la macchina investigativa e giudiziaria si mette subito in moto, si fissano tempi stretti. Ma qualunque meccanismo giudiziario, per quanto serrato, esige i suoi tempi, le sue verifiche, i suoi riscontri a tutela dell’accusato per evitare calunnie, deve contemperare le esigenze delle vittime e dei figli minori e spesso la spirale di una mente omicida è più veloce di qualunque procedura.

Anche le pene sono severissime: carcere, arresti domiciliari, braccialetto elettronico, allontanamento della persona, per quanto efficaci non riescono a debellare un fenomeno in crescita. Lo stalking passa da un minimo di sei mesi e un massimo di cinque anni a un minimo di un anno e un massimo di sei anni e sei mesi; la violenza sessuale passa da sei a 12 anni, mentre prima andava dal minimo di cinque e il massimo di dieci; la violenza sessuale di gruppo passa a un minimo di otto e un massimo di 14; prima era punita col minimo di sei e il massimo di 12. L’omicidio prevede l’ergastolo e comprende molte aggravanti in caso di femminicidio. Eppure tutto questo non basta. Ma non bisogna abbassare la guardia e nemmeno rassegnarsi, perché il femminicidio va azzerato. La concezione della donna come oggetto è una devianza mentale che coinvolge ancora molti, troppi uomini in tutta Italia, indipendentemente dal grado di cultura e dalla posizione posizione sociale. Certamente la prevenzione è fondamentale oltre al lento e costante mutamento di certe mentalità dominanti negli ultimi decenni da parte di tanti uomini, quello della propria donna come esclusiva proprietà. Forse occorrono operatori più preparati (anche se non siamo certo all’anno zero, percorsi formativi ci sono già), in grado di riconoscere quando un caso è a un passo dalla tragedia.

Colpisce anche il mare di notizie di reato da Codice rosso presentate in Procura in soli 5 giorni, dal primo al 5 ottobre: ben 35. Segno che stiamo parlando di un vero e proprio male endemico, spesso oscuro e nascosto, spesso conclamato. Del resto in tutta Italia, solo nel 2018, i casi estremi di queste situazioni, ovvero i femminicidi, sono stati 106. Uno ogni 72 ore. Ormai sono un terzo di tutti quelli commessi in un anno. Il 70 per cento avvengono in famiglia. La causa è solitamente quella dell’abbandono o del minacciato abbandono. «L’abbandono può diventare un tarlo», dicono gli psicanalisti che hanno studiato i casi di femminicidio. Non si accetta l’idea. E infatti la molla della violenza scatta a pochi mesi dalla separazione, magari alle prime udienze, quando l’ex coniuge scopre che lei ha una nuova vita, ma a volte può bastare l’annuncio di un’intenzione per far scattare il tarlo che porterà alla violenza. Perché il femminicidio spesso è solo l’ultimo stadio di un’escalation. E questo, ancora una volta, accende un faro sulla cultura e sulla prevenzione.

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