Gestione del debito
L’Europa si muova

La riunione della Bce del 12 marzo scorso si è chiusa con risultati piuttosto modesti. Le improvvide dichiarazioni d’esordio alla presidenza del Consiglio direttivo della Bce di Christine Lagarde - «non siamo qui per chiudere gli spread» - hanno creato panico tra gli operatori economici e scosso i mercati. I rendimenti dei titoli di Stato italiani sono saliti in pochi minuti dall’1,22% all’1,88% e lo spread è iniziato a salire fino a superare oggi i 260 punti. Esattamente l’opposto aveva fatto Mario Draghi nel 2012 quando la speculazione del mercato era indirizzata contro Spagna e Italia, nell’aspettativa che l’euro entrasse in crisi. In quell’occasione Draghi pronunciò la famosa frase «whatever it takes» facendo capire che la Bce avrebbe fatto qualunque cosa necessaria per risolvere ogni problema.

Colpisce come questa volta persino il presidente Mattarella, contravvenendo alle sue riconosciute doti conciliatorie, immediatamente dopo le parole della Lagarde abbia avvertito la necessità d’inviare una lettera all’Europa chiedendo che «la Ue solidarizzi e non ostacoli l’Italia». Successivamente è intervenuta una dichiarazione rassicurante della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen circa un totale impegno a favore dell’Italia, seguita dal capo economista della Bce.

Anche sul piano delle decisioni di politica economica non è stato fatto tutto quanto ci si aspettasse. È positivo che siano state annunciate nuove aste di liquidità a lungo termine per le banche a tassi praticamente negativi per le operazioni destinate a finanziare le piccole e medie imprese. Il «Quantitative easing», cioè l’impegno della Bce ad acquistare titoli di Stato dei Paesi membri, è stato accresciuto da 20 miliardi a 40 miliardi, ben al di sotto, però, degli 80 miliardi che rappresentarono l’impegno iniziale di Draghi. Evidentemente, la Lagarde è preoccupata che nei forzieri di Francoforte si siano accumulati titoli per 2.600 miliardi. Ci si aspettava anche che fossero abbassati i tassi di interesse, seguendo le decisioni della Federal Reserve e della Banca centrale inglese, e che Christine Lagarde usasse la discrezionalità di cui dispone per acquistare, tramite il «Quantitative easing», più Btp italiani che Bund tedeschi. Ciò non è avvenuto e le conseguenze si sono fatte pesantemente sentire su tutti i mercati. Un aspetto di grande rilievo, però, è che proprio la diffusa insoddisfazione per le misure adottate dalla Bce per far fronte alle conseguenze derivanti all’economia europea dalle misure adottate per contrastare la diffusione del coronavirus, abbia portato operatori economici ed esponenti politici a riflettere sulla possibilità di un nuovo ruolo che potrebbe essere giocato dall’Unione europea al fine di allentare i vincoli che gravano sui bilanci nazionali e per sostenere la ripresa.

Si sta rifacendo strada, infatti, l’idea di emettere Eurobond, cioè titoli di debito comuni a tutti i Paesi europei, che fu contrastata in passato dall’Inghilterra e dalla Germania. Quest’ultima potrebbe adesso lasciarsi convincere dagli evidenti possibili vantaggi collettivi. Il principale è che il mercato dell’Eurobond avrebbe dimensioni così grandi da rendere pressoché impossibili attacchi speculativi che attualmente possono coinvolgere i titoli di Stato di grandi Paesi come il nostro, con gravi ripercussioni per tutti gli altri. La stessa locomotiva tedesca, poi, sarebbe avvantaggiata da una maggiore stabilità dell’area euro. In definitiva, si creerebbero le condizioni per il finanziamento con «debito europeo» di un grande piano di rilancio dell’economia, sostenuto dall’appetibilità degli strumenti di debito emessi dall’Unione.

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