Giovani e lavoro, serve più rispetto

La retorica dei giovani che non hanno voglia di lavorare è vecchia come il cucco, così come è vecchia l’ipocrisia di chi offre paghe da fame e poi si lamenta che non vengano accettate. Un esempio è quello che ha visto Francesca, di Secondigliano, uno dei quartieri più famosi e popolosi di Napoli, protagonista di un’offerta del genere: 70 euro alla settimana per lavorare in un negozio 10 ore al giorno, 280 euro al mese. Roba da Rivoluzione industriale.

Dickens l’avrebbe fatta protagonista di uno dei suoi romanzi. La ragazza ha avuto il coraggio di diffondere la notizia della generosa offerta di lavoro sui social (forse è questa la novità, il poter rendere pubbliche cose che in altri tempi sarebbero finite nell’oblio) ed è giustamente scoppiato un pandemonio. Il video girato ha avuto un effetto virale impressionante. «Ho già lavorato in un negozio come commessa», dice Francesca, «ma mai per questa miseria. Guadagnavo 200 euro a settimana e il sabato l’orario era mezza giornata».

Ha fatto male a definirla una proposta irricevibile? O c’è qualcuno che osa dire che Francesca avrebbe dovuto accettare perché si sa che i giovani devono farsi le ossa? A quel qualcuno si dovrebbe spiegare che i diritti del lavoro ci sono anche per i giovani e che fare la gavetta non significa essere sfruttati. In questo caso è inutile tirare in ballo il reddito di cittadinanza che spinge chi lo percepisce a non cercare un’occupazione. Qui si tratta di sfruttamento del lavoro giovanile e non di opportunità rifiutate.

Eppure si è scatenato in questi giorni un aspro dibattito sui ragazzi che non hanno voglia di lavorare. Alcuni chef stellati (il cuoco è uno dei mestieri effettivamente più duri) hanno detto che le nuove generazioni non sono portate per il sacrificio e preferiscono il weekend libero al lavoro (che nei ristoranti impone di lavorare nei week end). Si potrà discutere se aumentare il tempo libero, se rinunciare a qualche centinaio di euro in cambio di due giorni al mare, ma la dignità è un’altra cosa.

Altro problema invece è la questione del reddito di cittadinanza quando la paga offerta è, diciamo così, dignitosa. In effetti una delle ragioni per cui in tutte le località balneari e turistiche pullulano i cartelli «cercasi barista» può essere anche questa (certo non quando si offrono 600 euro al mese per sette giorni alla settimana). Servirebbe un tagliando a questa misura che è sostanzialmente di protezione sociale. Offrirla a un ragazzo di 24 anni che si affaccia sul mondo del lavoro in effetti può essere controproducente. Come è noto, recentemente, l’Unione europea ha sollecitato il salario minimo per difenderci dall’inflazione e limitare la piaga dei «working poors». L’Italia può farne a meno poiché questi è garantito dai contratti collettivi. Il ministro del Lavoro Orlando ha proposto di fissare dei parametri per legge basati sui contratti collettivi più rappresentativi per le varie categorie. Un’ipotesi di compromesso che pare piuttosto saggia poiché permetterebbe di accogliere le sollecitazioni dell’Unione europea e salvaguardare le prerogative di lavoratori e sindacati. Perché è dove non esistono contratti collettivi, dove non arriva la legge, che si annidano forme di sfruttamento e offerte come quella dell’indignata titolare del negozio di Secondigliano. La ragazza nel video ha fatto una domanda all’insegna del buon senso, pienamente legittima: se la signora avesse una figlia della mia età le proporrebbe un lavoro di 10 ore al giorno per 70 euro a settimana?

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