Gli Europei
e la ripartenza

Un anno fa erano un simbolo, uno dei tanti, delle macerie lasciate dal Covid lungo il suo percorso. Macerie fatte di vite spezzate a decine di migliaia e di appuntamenti, grandi, piccoli e piccolissimi, mandati all’aria. Rimandati a chissà quando. Gli Europei 2020 cominciano oggi, e orgogliosamente si chiamano ancora così: Europei 2020. Scaliamo la marcia e acceleriamo a tavoletta, di fronte al rischio di sbrodolare retorica. Eppure non si può non vedere come i Campionati Europei di calcio che proprio l’Italia inaugura stasera contro la Turchia vestano di nuovo, volenti o nolenti, i panni del simbolo, stavolta al contrario.

Da simbolo di ciò che era costretto a fermarsi a simbolo di ciò che riesce a ripartire. Certo, ripartire «come si può». Ma intanto, prendiamo atto che si può. Che si possa giocare a pallone l’hanno dimostrato, pur tra mille difficoltà, le competizioni che giusto un anno fa riprendevano il via. C’era chi spargeva pessimismo, paventando nuovi stop. Invece non solo le competizioni sono giunte al loro termine, ma non c’è chi oggi, seppur di fronte ai casi che hanno colpito tutte le squadre, osi mettere in discussione la regolarità dei risultati raggiunti. Quindi si può giocare a calcio in pandemia, e se qualcosa filerà storto anche in questo Europeo andrà trattato come capita alle squadre di calcio che da un anno seguono protocolli ed eseguono migliaia di tamponi.

E si può, notizia che non può non riempire i cuori di gioia, anche tornare negli stadi. Stasera l’Olimpico tornerà a respirare applausi e fischi, gioia e mugugni. Il colpo d’occhio non sarà quello dei tempi migliori, e in normalità una partita inaugurale di un Europeo con 14 mila spettatori sarebbe stata uno storico flop. Ma tutto è relativo, e stasera quei 14 mila saranno una vittoria a prescindere dal risultato del campo. «Comunque vada sarà un successo»: mai questa frase sarà stata così vera.

A prescindere dal campo, si diceva. Perché poi si gioca, e questa Italia di Mancini resta in fondo un’incognita rispetto alle grandi partite. Ha vinto e stravinto, ha collezionato primati. Ma un vero banco di prova non l’ha mai affrontato. Il calcio italiano si è diviso in due, come quasi sempre. Super ottimisti – Mancini gioca benissimo, la squadra è giovane e talentuosa, non c’è la pressione della vittoria a ogni costo – da un lato. Iper pessimisti – questa squadra non ha nessun fuoriclasse vero, i due centrali di difesa hanno l’età della Maresana, età media bassa significa anche inesperienza rispetto agli appuntamenti che contano – dall’altra. Noi rifiutiamo le tessere di entrambi gli schieramenti e ci iscriviamo al partito dei realisti. Già la partita di stasera dirà qualcosa di concreto sull’impatto dell’Italia in una competizione attesa come un Europeo. La Turchia non è squadra da poco, e di certo i giocatori si sentiranno portatori di un nazionalismo turco in grande crescita e, nemmeno a farlo apposta, in aperta frizione con l’Italia dopo le parole di Draghi (ma non solo) su Erdogan dittatore di fatto. Resta però un Europeo incerto, senza una favorita certamente sopra le altre, dunque aperto alle sorprese. In più, l’incognita del Covid. Bene ha fatto la Figc a vaccinare per tempo la Nazionale: non è certo un modo per scavalcare la fila o garantire privilegi ai calciatori. Se si va a giocare un Europeo è bene farlo nelle migliori condizioni possibili, anche per la salute. Tant’è che ora le Nazionali che hanno fatto una scelta opposta corrono ai ripari, come se vaccinarsi oggi significasse essere protetti domani mattina. Intanto, un «Forza Italia» diciamolo. Non si vince nulla dal 2006 e anzi, quel Mondiale s’è lasciato alle spalle una discreta scia di figuracce. A Mancini e ai suoi giocatori nessuno chiede per forza il trofeo. Basterebbe, in fondo, qualche bella emozione. Dopo un anno e mezzo così, ci si contenta anche di poco, ma buono.

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