Gli Usa oggi e la missione di Roma e Bruxelles

MONDO. Sono quasi 250 anni (nel 2026) dalla nascita degli Stati Uniti d’America. Ronald Reagan, presidente in carica dal 1981 al 1989, definiva il suo Paese come una città splendente in cima alla collina, un faro per tutti gli uomini amanti della libertà.

Donald Trump nel suo primo discorso di insediamento del 2017 iniziava così il suo mandato: da oggi vale solo un principio, America First. Per noi europei un trauma. Eravamo abituati a godere dei frutti della libertà che la democrazia americana ci aveva portato al prezzo di centinaia di migliaia di caduti. E a fine guerra, quando miseria e distruzione dominano i cuori e le menti, ecco il magnanimo vincitore che con i miliardi di dollari del piano Marshall riporta la speranza. È da questa idea di America che l’Europa fatica a staccarsi. La colpa europea è stata credere che il multilateralismo fondato sulla retorica del mercato potesse fondare un nuovo ordine.

Per Trump l’economia è quello che è per la Cina, uno strumento di potere. Prima gli Usa avevano bisogno della solidarietà dei suoi partner. Dovevano tener unito il fronte occidentale contro il blocco comunista e le tentazioni dell’ideologia marxista. Adesso che l’Europa è diventata un concorrente industriale e commerciale in grado di interagire anche con gli altri blocchi, vale la regola della frusta. Al nuovo corso della politica americana va riconosciuto il merito di aver messo gli europei di fronte alla propria impotenza che non è economica ma politica e militare. A dimostrazione del fatto che l’economia senza coesione politica e quindi deterrenza non basta per mantenere l’autonomia. E l’autonomia è la base per la libertà.

L’unico che sembra essersene accorto è Emmanuel Macron. Ha in questi giorni in piena solitudine chiamato al telefono Putin. Non ha concordato nulla con i partner perché convinto che l’Europa sia impotente senza la Francia in testa. E la Francia nell’Unione non ha i numeri per far la voce grossa senza la Germania. Un terreno minato da quando Berlino ha riconquistato una sua indipendenza politica. Proprio il protagonismo francese ha radicalizzato il rapporto con il conflitto in Ucraina. Ancora oggi la Spd tedesca è cauta nel sostegno alla guerra. Un gruppo di socialdemocratici capeggiati dal deputato Ralf Stegner aveva imbastito una specie di diplomazia parallela con Mosca per tenere aperto un dialogo. L’attivismo francese con un possibile invio di truppe europee sul fronte ucraino ha alzato la palla a chi in Germania da tempo guardava alla ricostituzione dell’esercito tedesco.

Trump e la Nato hanno legittimato questa aspirazione.Il riarmo tedesco è una certezza. Vuol dire che il mondo non guarda più alla Germania con timore ma con speranza. È la liberazione dal peso del passato nazista che ora anche Israele riconosce. Questa ritrovata autonomia permette alla Germania di ritrovare un equilibrio e uscire dalla maledizione di gigante economico e nano politico. Per la Francia si restringe lo spazio perché il debito commerciale è enorme e pesa il fatto che l’economia d’Oltralpe accanto ai campioni nazionali non ha aziende di subfornitura con le quali aumentare il proprio export. E questa debolezza spiega le uscite in solitario di Parigi.

L’Europa si divide in tre gruppi il blocco mediterraneo, quello: centro settentrionale e quello orientale. Occorre un’iniziativa che esca dallo schema del motore franco-tedesco e tenga unite le componenti. L’Italia se provasse ad osare ed uscire dalla tutela e soggezione americana avrebbe carte da giocare.Non ultima quella dell’appartenenza. Tenere nazionale tutto ciò che può restare nazionale e unire le forze su ciò che conta: difesa, politica estera, politica sociale ed economica. Essere un ponte sì ma tra europei, questa la vera missione di Roma.

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