I furbetti del bonus
e i tribunali della rete

La tanto vituperata rete, spesso accusata di dare troppa visibilità a personaggi discutibili e mediocri, ha assunto un ruolo positivo in occasione della vicenda degli esponenti politici - parlamentari, consiglieri regionali e comunali - che hanno ricevuto il «bonus» Inps da 600 euro per partite Iva e lavoratori autonomi. In questa occasione la potenza di fuoco del web è servita, da subito, a mettere alla berlina gli artefici di tali prodigi di malcostume e vari social hanno assunto il ruolo di un efficacissimo «tribunale del popolo», animato da sani principi, senso civico e un inedito bisogno di giustizia sociale.

Dal web sono partite anche molte sottoscrizioni di cittadini indirizzate a conoscere i nomi dei parlamentari coinvolti, che hanno contribuito a far sì che l’Authority per la privacy fornisse un parere circa l’assenza di ostacoli all’evidenziazione dei nomi dei «furbetti». La circostanza, poi, che molti dei politici coinvolti aderissero a vari social ha dato l’opportunità di conoscere le motivazioni dei loro comportamenti, il che è ulteriormente servito ad aggravare la loro posizione e ad evidenziarne l’assoluta inadeguatezza a rappresentare i cittadini come previsto dalla Costituzione.

Il web ha mostrato anche di saper evidenziare la gravità di alcuni comportamenti con intelligente ironia attraverso la messa in scena di alcune acute iniziative. C’è stato, ad esempio, chi su Twitter ha lanciato l’idea di un premio Pulitzer alla «scusa più assurda», mettendo in prima posizione la spiegazione data da Diego Sarno, consigliere regionale del Pd in Piemonte che ha dichiarato su Facebook: «La mia compagna fa la commercialista e gestisce la contabilità riguardante la mia attività professionale. Così è capitato che durante il lockdown, per provare diverse procedure ha usato la sua partita Iva e anche la mia. Quando è uscito il bonus per gli autonomi, ha usato la mia partita Iva per provare la procedura e nella contemporaneità di quella di altri clienti, ha confuso la mia per errore e a questo punto ho ritenuto opportuno donare il ricavato in beneficenza». Immediata la replica su Twitter del presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, esponente dello stesso partito: «Se fai beneficenza la farai con risorse tue, non con il bonus ricevuto dallo Stato».

Da parte sua il governatore Zaia, sempre sollecitato a prendere iniziative dalle proteste del web, ha provveduto ad escludere dalle liste elettorali alcuni consiglieri veneti che si sono autodenunciati e anche chi ha avuto la faccia tosta di dichiararsi inconsapevole del bonus ricevuto, attribuendo «tutta la colpa al commercialista».

Commenti sarcastici sono stati riservati anche alla giustificazione addotta da Ubaldo Bocci, che un anno fa sfidò l’attuale sindaco di Firenze Dario Nardella, il quale ha dichiarato di «aver voluto punire una legge sbagliata per mettere in evidenza la superficialità del governo nel fare le leggi». Non sono infine stati degnati di alcuna giustificazione nemmeno i comportamenti di alcuni consiglieri comunali, peraltro scusati da molti politici, che hanno affermato su vari siti di aver ritenuto legittimo il proprio comportamento essendo rimasti senza reddito nei mesi di marzo, aprile e maggio e potendo contare solo su gettoni di presenza di alcune centinaia di euro. In questo caso agli insulti si sono sostituiti pressanti inviti a «scegliersi un’altra professione essendo indegni di rappresentare i cittadini». C’è da augurarsi, ora, che le sollecitazioni che continuano a provenire dal web perché si faccia piena luce sulla gravità di quanto accaduto abbiano un riscontro. È necessario che siano esclusi dall’attività politica questi furbetti senza arte né parte, da tutti noi consapevolmente eletti, che hanno dato una così evidente prova di immaturità istituzionale.

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