I nuovi farmaci
Diritto di sapere

Scoprire un nuovo farmaco e stabilirne il rapporto benefici-rischi è un percorso che dura anni. Si comincia con un’idea, si fanno simulazioni al computer, si sintetizzano sostanze chimiche o si preparano prodotti biologici per effettuare i primi studi in vitro. Si impiegano enzimi, cellule, organoidi, organi per verificare le concentrazioni efficaci. Poi si passa alla sperimentazione su modelli animali, ancora oggi indispensabili perché le differenze fra la situazione in vitro e quella di un organismo vivente sono enormi. Naturalmente sulla base dell’esperienza e delle conoscenze generali si sceglierà una specie animale che per le sue caratteristiche si avvicini il più possibile all’uomo. Ad esempio, se dobbiamo studiare un farmaco che previene l’arteriosclerosi, utilizzeremo il coniglio e non il ratto, perché quest’ultimo non sviluppa queste lesioni. La sperimentazione animale non serve solo a verificare gli eventuali benefici, ma anche per stabilirne la tossicità in trattamento cronico in più specie animali.

Si dovrà anche verificare che il farmaco non induca malformazioni negli animali in gravidanza e non sia cancerogeno. Tutti gli studi animali, peraltro richiesti dalla legge, devono comunque essere approvati da almeno quattro Comitati. Fatto tutto questo, dopo il permesso di un Comitato etico, si può passare alle varie fasi della sperimentazione umana. L’ultima fase, fondamentale per l’approvazione del farmaco da parte dell’Autorità regolatoria, in genere viene eseguita su due gruppi di pazienti: un gruppo verrà trattato con il nuovo farmaco, l’altro gruppo con il farmaco già esistente per quella patologia a dosi ottimali; se non esiste un farmaco di riferimento, si utilizzerà un placebo, cioè un prodotto inerte. Componenti importanti di questa ricerca sono la numerosità dei gruppi e il tipo di parametro da utilizzare per valutare l’efficacia del nuovo farmaco. Si distinguono in questo senso parametri «surrogati», che riguardano ad esempio la diminuzione del colesterolo, della glicemia, della pressione arteriosa, del volume di un tumore, e parametri «terapeutici», che si riferiscono invece a ciò che interessa al paziente e cioè la diminuzione o la guarigione della malattia, la diminuzione della mortalità, il miglioramento della qualità della vita.

È chiaro che sono i parametri terapeutici quelli da considerare, essendo i parametri surrogati solo una indicazione preliminare per studiare i parametri terapeutici. È molto importante sottolineare che i due gruppi di pazienti devono essere omogenei per poter fare una reale comparazione dei benefici e rischi del nuovo farmaco rispetto al placebo o al miglior farmaco già esistente. Ciò vuol dire che i due gruppi dovranno comprendere i due sessi in eguale proporzione, dovranno includere pazienti della stessa età e peso corporeo, della stessa gravità della malattia, lo stesso numero di fumatori e così via. Cioè è l’insieme dei pazienti che permette di fare la comparazione; ma l’insieme è fatto per ogni gruppo di singoli pazienti, che fra loro sono spesso molto differenti; è quindi la media che deve essere eguale.

Il risultato che otteniamo si riferisce perciò, se positivo, a una popolazione e non necessariamente al singolo individuo. Di conseguenza, quando il farmaco arriverà in commercio, il medico che lo prescriverà non saprà se sarà utile o meno a quel determinato paziente. Facciamo un esempio osservando i risultati di un farmaco che diminuisce il colesterolo e che nello studio considerato abbia dato luogo dopo 5 anni di trattamento a 30 infarti cardiaci ogni cento pazienti trattati contro i 40 nel gruppo trattato con placebo. Si tratta di 10 infarti in meno e cioè 2 infarti in meno all’anno per ogni 100 trattati. Né il medico, né il paziente sapranno chi ha avuto il beneficio perché questo risultato vuol dire che comunque vi sono stati ogni anno 98 pazienti trattati inutilmente perché molti non avrebbero avuto in ogni caso l’infarto e alcuni lo hanno avuto comunque, nonostante il trattamento. Va considerato, tuttavia, che molti dei pazienti trattati inutilmente avranno avuto effetti tossici. Ciò ha due conseguenze. La prima è che il costo del farmaco, ciò che paga il Ssn, rispetto al beneficio non è quello della singola confezione, ma va moltiplicato per il numero di pazienti trattati inutilmente. La seconda è che il paziente ha il diritto di sapere che il trattamento cronico a cui si sottopone – anche se nel caso ricordato il suo colesterolo diminuisce – non è detto che gli offrirà un beneficio. Il medico dovrebbe informarlo, perché è come giocare alla lotteria, solo che si può comperare un solo biglietto. Il medico o il paziente dovrebbero considerare e valutare insieme quello che gli anglosassoni chiamano Nnt, ovvero il numero di pazienti da trattare perché uno di essi abbia un beneficio. Quanto più questo numero è alto tanto minore è la probabilità di avere un vantaggio. Nel caso dell’esempio fatto sopra, l’Nnt è 50, ovvero devo trattare per un anno 50 pazienti con livelli elevati di colesterolo perché uno eviti l’infarto. Nel caso di un vaccino, invece, l’Nnt è 1 (o attorno all’1), perché spesso basta un trattamento – spesso una singola dose - perché una persona non contragga la malattia - per molti anni a venire, per di più. Quanti sono i pazienti che conoscono il Nnt dei farmaci che stanno assumendo?

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