Il 2 giugno
Ricominciare
esattamente
come ieri

Con la Festa della Repubblica si ricordano e si commemorano la vittoria del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e l’atto di nascita dell’Italia democratica e antifascista. Una data del calendario civile che appartiene alla memoria popolare degli italiani e che l’allora presidente Ciampi ha voluto rilanciare all’insegna di quel «patriottismo costituzionale», teso a qualificare la coscienza collettiva partendo dalla storia reale del Paese e dalle sue tappe simboliche. Quel voto ha aperto la porta alla Costituzione e alla rinascita di un Paese ridotto in macerie, in cui i cittadini dovevano sbarcare il lunario nella miseria.

Un’Italia divisa, se non spaccata in due anche dalle urne fra Nord e Sud, da unificare nello scorrere quotidiano e nelle coscienze, e che tuttavia ce l’ha fatta. Pur dovendo convivere con una democrazia «difficile» e fragile perché nell’incertezza dell’apprendistato, in bilico fra passioni troppo forti e istituzioni troppo deboli, come ammoniva Aldo Moro. Eppure ci siamo riusciti, conviene ricordarlo a qualche smemorato: alla nostra maniera, con la fantasia magari un po’ guascona, aiutati dallo Stellone e con un pizzico di indisciplina creativa.

Spesso in questi mesi, ostaggio del Covid, s’è fatto riferimento a quella fase, quasi a ricercare un precedente virtuoso in cui trovare riparo. È stata una storia di lacrime e sangue, ma di successo, in cui s’è imposta l’«ideologia della ricostruzione», sostanzialmente condivisa fra partiti diversi e distanti, ma uniti sui fondamentali: quelli di fondare una nuova convivenza civile, cercando di contenere i costi pesanti imposti dalla Guerra fredda alla democrazia italiana nei termini di un durissimo scontro ideologico. Quel 2 giugno di 75 anni fa può essere letto come l’autobiografia di un tratto della storia italiana, che ci ha insegnato qualcosa di serio: il buon senso, la responsabilità, la coscienza del legame fra crescita personale e dimensione collettiva. Si dice italiani brava gente, salvo quando evidentemente non lo siamo stati. L’autocritica non dovrebbe mancare: abbiamo dato il meglio e talvolta pure il peggio, non facendoci mancare nulla nella corsa verso l’ignoto, inclinando verso la degenerazione dell’etica pubblica e delle relazioni civili. Tentati dalla discesa agli inferi, eppure ravveduti all’ultimo miglio prima di precipitare dal limite estremo del Titanic.

Forse senza riconoscerlo, a forza di riparare guasti e cicatrizzare ferite, abbiamo imparato, soprattutto nel tempo della pandemia, che si può ricominciare oggi esattamente come ieri, dalla volontà di stare insieme, perché - come diceva un celebre storico - il «plebiscito di ogni giorno» dei cittadini è ciò che sostiene la nazione. L’Italia che soffre di mali nuovi e antichi può ritrovare spunti e riflessioni in quella rivincita dell’unità popolare che ha segnato la ricostruzione del dopoguerra, ricucendo le fratture dentro una prospettiva inclusiva. La democrazia, e non era scontato, s’è estesa, dando cittadinanza a tutti. Si è insoddisfatti, rabbiosamente insoddisfatti, eppure gli choc globali di questi anni, fra economia e Covid, stanno ridefinendo il nostro modo d’essere in maniera riflessiva. Hanno scosso la realtà materiale e le convinzioni, restituendo valore a parole solitarie confinate nell’angolo dello smarrimento: la consapevolezza solidale che il destino degli uni è quello degli altri.

Oggi, in un’Italia riconciliata con l’Europa e con l’affievolirsi del tripudio demagogico, ci sono forse le condizioni per ricominciare da un 2 Giugno diverso in quanto normale, in linea con la miglior storia italiana: quella di uno «spirito costituente» che, nonostante tutto, ci ha fatto crescere.

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