Il brutto bivio dell’Italia:
o aumentare l’Iva
o sforare il deficit

Eccolo che ritorna, come un fantasma, l’aumento dell’Iva. Evocato più volte, respinto con decisione dai due vice premier della maggioranza Salvini e Di Maio, cautamente insinuato dal premier Giuseppe Conte. Ieri ha raggelato tutti davanti alla platea di imprenditori di Rete imprese Italia. Evitare l’aumento dell’imposta, ha detto, «non sarà un’impresa facile».

Quanto è bastato per scatenare l’ira del ministro dell’Interno, anch’egli presente all’evento. «Mi rifiuto di aumentare l’Iva anche di un solo centesimo - ha detto il vicepremier -, prima va riformato il sistema fiscale: bisogna avere coraggio e io non mi rassegno». Ma Salvini è riuscito a innervosire i mercati ancora di più, sostenendo che «possiamo sforare sul deficit oltre il 3%», una cosa mai detta che ha fatto impallidire Conte e il povero ministro dell’Economia Giovanni Tria, per mesi pazienti tessitori del dialogo con Bruxelles a colpi di zero% per non finire nelle forche caudine europee e beccarsi le gigantesche multe dovute allo sforamento dei parametri di Maastricht. Ma siamo alla vigilia delle elezioni europee, e la conquista degli indecisi vale più di qualunque accordo. Peccato che i mercati non siano particolarmente interessati alle Europee. Agli investitori interessa solo il rendimento dei titoli di Stato e la sostenibilità del debito pubblico italiano, ingrossato continuamente dal deficit di bilancio.

Le dichiarazioni del ministro dell’Interno con la prospettiva di una nuova fase di instabilità politica hanno innescato la ripresa dello spread, che è il differenziale tra i nostri titoli a dieci anni e quelli tedeschi, considerati inossidabili. I margini di guadagno troppo bassi hanno scatenato un’ondata di vendite che potrebbe farci tornare a tempi che speravamo passati per sempre, come la tempesta del 2011. Ed ecco, al solito, Tria cercare di gettare acqua sul fuoco, parlando di «nervosismo ingiustificato».

Debito pubblico e Iva. Un combinato disposto micidiale. Come è noto l’eventuale aumento dell’Iva è legato alle cosiddette clausole di salvaguardia istituite nel 2011, quelle misure prese per rispettare i vincoli di bilancio previsti dai trattati europei, per tutelare i saldi di finanza pubblica. Se il governo non riesce a trovare i soldi che ha promesso per coprire le riforme, sforando oltremodo sul deficit, allora deve mettere mano alla tagliola delle agevolazioni fiscali o aumentare le imposte indirette (come l’Iva, appunto). Dunque delle due l’una: o si sfora sul deficit e s’innesca l’ira di Bruxelles e la reazione dei mercati, o si aumenta l’Iva. La progressione delle aliquote Iva è prevista dalla legge di Bilancio del governo Conte e dagli accordi con l’Ue in caso di bilancio in rosso oltre il deficit concordato (il Documento di programmazione economico finanziaria calcola il 2,4%, ma ieri Salvini ci ha agguiunto «d’emblée» un altro 0,6%). Se l’aumento dell’Iva venisse attuato, lo Stato ci metterebbe le mani nel portafoglio in maniera pesante. Lo scatto infatti potrebbe pesare per 23 miliardi sui contribuenti italiani, una manovra economica intera, circa 538 euro a famiglia. Peggio andrà a liberi professionisti e imprenditori che si troveranno a fare i conti con una maggiorazione della spesa di 857 euro. A quel punto potrebbe scattare «l’Iva funesta» del popolo italiano.

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