Il debito buono
è un’opportunità

Le stime dell’Autorità di controllo sui conti pubblici (Upb), divulgate dal governo con il Documento di economia e finanza, ci dicono che abbiamo scavalcato i 2.500 miliardi di euro di debito. Ci troviamo, cioè, con 25 punti in più di debito pari a 450 miliardi, dovuti per metà alla caduta del Pil procurata dal lockdown, pari a oltre l’8%, e per l’altra metà dai provvedimenti adottati dal governo per contrastare la recessione per complessivi 100 miliardi, pari al 6,2% del Pil. Il rapporto debito/Pil è così salito a circa il 160% del Pil e il rapporto deficit/Pil a quasi il 13%, assai lontano dal 3% stabilito a Maastricht. Tra settembre e dicembre sarà necessario il ricorso al mercato per collocare 150 miliardi di Bot e Btp e ciò non dovrebbe comportare alcun problema sempre che la situazione politica, dopo le elezioni del 20 settembre prossimo, non si complichi.

In concreto, l’attuale situazione economica ha connotati ancor peggiori di quelli evidenziatisi a fine 2011, quando Mario Monti si trovò costretto a porre riparo alla crisi a colpi di «austerity». A determinare tuttavia uno scenario meno preoccupante è intervenuta una svolta radicale nelle politiche dell’Unione, ispirata a principi di solidarietà, che avrà conseguenze certamente positive per l’Italia.

Dal 2021 infatti nel nostro bilancio, accanto alle normali emissioni di Bot e Btp, ci sarà il supporto di circa un 10% di debito costituito da prestiti europei a tassi vicini allo zero. Ci saranno i 209 miliardi del Recovery Fund (di cui 80 a fondo perduto), i 20 miliardi della Bei destinati alle imprese, 28,5 miliardi del Sure già attivato dal ministro Gualtieri e destinato al finanziamento degli ammortizzatori sociali. C’è da augurarsi che ci siano anche i 36 miliardi del Mes per spese sanitarie dirette e indirette. Quest’ultimo, se non fossero prevalsi incomprensibili calcoli politici, sarebbe potuto essere attivo sin dallo scorso giugno.

Questa nuova diversificazione delle fonti di provvista gioverà indubbiamente a determinare una minore pressione sui mercati e, soprattutto, determinerà un nostro consistente risparmio in termini di spesa per interessi, che pesa oggi per circa 60 miliardi l’anno sul bilancio dello Stato. Se d’incanto questa spesa venisse eliminata, ci troveremmo con un avanzo primario dell’1,7%, frutto delle politiche di bilancio degli ultimi trent’anni ispirate dal rispetto dei parametri di Maastricht. Con riferimento a questi temi, il quotidiano «La Repubblica» ha recentemente pubblicato un interessante studio condotto da Nicola Nobile e Maddalena Martini di Oxford Economics nel quale, tra l’altro, si dice: «Questi programmi potrebbero portare nell’arco dei prossimi dieci anni un risparmio per le casse dello Stato di 25-30 miliardi se compariamo le condizioni ipotizzate con le condizioni di mercato riservate ai titoli italiani». C’è anche chi ipotizza, del resto, che se nei prossimi anni l’inflazione e i tassi crescessero, i nostri prestiti a tasso zero con l’Ue aumenterebbero di giorno in giorno la loro convenienza e il risparmio in termini di tassi di interessi potrebbe salire fino ad oltre 50 miliardi.

Tutto ciò nel presupposto che questi prestiti siano spesi bene. Non a caso Mario Draghi, nel Meeting di Rimini dello scorso agosto, ci ha ricordato che esiste «un debito buono e uno cattivo». È cattivo quando è destinato a spese improduttive, è buono quando è indirizzato ad investimenti in grado di stimolare la crescita. Ecco perché, avendo gli interventi dell’Europa contribuito a modificare positivamente il nostro scenario economico, sarebbe assurdo non cogliere queste nuove favorevoli occasioni e continuare a privilegiare, per i soliti interessi elettorali, il debito cattivo fatto di sprechi e utilizzo a pioggia delle risorse pubbliche.

La stessa Europa, attraverso il New generation Ue, ci ha prospettato l’assoluta necessità di ritrovare il sentiero della crescita con consistenti e razionali investimenti nella green economy e nella digitalizzazione che siano in grado di guardare anche al futuro dei nostri giovani.

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