Il diritto alla vita senza eccezioni

MONDO. Settimana scorsa è morto Ian Wilmut, il primo uomo passato alla storia come «padre» di una pecora. Nel 1996 ottenne tramite clonazione la pecora Dolly che visse - ahimè - solo sei anni. Si ipotizzò che la procedura utilizzata potesse essere valida anche per clonare esseri umani. Sia per riprodurre una «copia» biologica di una persona, sia per usare embrioni clonati per curare malattie.

La clonazione di una persona non è stata realizzata, ma si cercò di clonare gli embrioni. In Italia con il referendum del 2005, proposto dai radicali, si voleva consentire la ricerca su embrioni umani, compresa la clonazione terapeutica, ma fallì. Lo stesso anno Wilmut annunciò di aver interrotto le sue ricerche perché il giapponese Shinya Yamanaka, poi premio Nobel, era riuscito a riprogrammare cellule adulte facendole ritornare cellule staminali pluripotenti. Rendendole così utilizzabili per curare leucemie, malattie congenite del metabolismo e dello sviluppo osseo. Ad oggi con questo metodo si possono curare circa 80 malattie.

Questa vicenda però pare non abbia insegnato molto a chi nel Parlamento europeo ha votato in questi giorni una proposta in cui embrioni e feti vengono assimilati a «sostanze di origine umana» come pelle e sangue. Come al solito «il diavolo sta nei dettagli». Infatti il testo della «Regolamentazione della sicurezza e qualità delle sostanze di origine umana» (SohO) stabilisce rigide misure di controllo per i donatori di sostanze umane come il plasma necessario per le trasfusioni sanguigne durante un’operazione o il midollo osseo necessario per trattare le leucemie. La severità di questi controlli si è resa necessaria perché l’Europa importa il 40% di sangue dall’estero, in maggior parte dagli Stati Uniti. Servono dei protocolli di qualità biologica e sicurezza medica molto elevati, perché ne va della salute dei cittadini.

Ma tra le «sostanze umane» sono inclusi anche spermatozoi e ovuli non fecondati che servono per la procreazione medicalmente assistita e purtroppo anche embrioni e feti. Questo permetterebbe l’utilizzo di embrioni e feti. Per esempio per fare ricerca su quegli embrioni in più, prodotti per la fecondazione artificiale, ma non impiantati nell’utero della donna, perché è già iniziata una gravidanza. Oppure usare il feto abortito o deceduto naturalmente per prelevare organi, tessuti o cellule. Il grosso equivoco è quello di considerare embrioni e feti «sostanze viventi» cioè materiale biologico, quando invece sono «organismi viventi». Le cellule umane, in apposite colture, possono replicarsi anche al di fuori del corpo, così come i tessuti possono restare vitali e accrescersi in vitro, ma l’embrione, già allo stato unicellulare, è un organismo autopoietico, unico in grado di dare origine spontaneamente all’intero organismo. Quest’evidenza ci fa dire che non siamo di fronte a una sostanza vivente qualsiasi, ma a un essere umano nelle sue prime fasi di sviluppo. Non andrebbe quindi qualificato come una «cosa», ma un «individuo». Pertanto varare un regolamento, per ora solo in forma di bozza, che equipara la vita concepita a qualunque sostanza di origine umana sarebbe un grande sbaglio dal punto di vista scientifico e una grave violazione della dignità dell’embrione e del feto dal punto di vista etico.

La questione dello «statuto dell’embrione», cioè la sua identità umana e i diritti che gli appartengono, è già da anni in discussione in Europa, ma non la si vuole affrontare perché si temono eventuali limitazioni della libertà di aborto. Tuttavia molti credono che le leggi sull’interruzione volontaria di gravidanza, come garantiscono la libertà alla donna dovrebbero parimenti tutelare l’embrione e il feto poiché siamo di fronte a un nuovo essere umano che i genitori chiamano «nostro figlio».

Il diritto alla vita può essere considerato un pilastro della nostra Costituzione perché, anche se non chiaramente esplicitato, è la condizione affinché si diano tutti gli altri diritti del cittadino. Invece ad embrioni congelati o al feto nei primi mesi di vita non è garantito il diritto di nascere. La cultura laica potrebbe maggiormente impegnarsi per la vita dei non nati, così come le istituzioni dovrebbero orientare la ricerca scientifica

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