Il futuro dei giovani
La misura del declino

Il «bisogna fare di più per i giovani» di Mario Draghi al Meeting di Rimini non deve stupire. Le nuove generazioni si trovano di fronte una situazione inedita. La ricchezza pro-capite italiana si è attestata nel 2019 ai livelli del 2000. In 20 anni e prima dell’arrivo del Covid il nostro Paese non è cresciuto, o meglio la crescita registrata nel primo decennio del nuovo secolo è stata persa con la crisi del 2008. Se si esclude la Grecia nessuno ha fatto peggio di noi in Europa. In altre parole, Francia, Germania e Regno Unito, dopo il fallimento di Lehman Brothers, si sono riportati presto sopra i livelli di reddito precedenti.
Il crollo ulteriore del Pil previsto per quest’anno a causa della pandemia, riporterà l’Italia alla ricchezza pro-capite degli anni Novanta e sappiamo anche che, nella migliore delle ipotesi, la ripresa non sarà affatto semplice. Vero è che la pandemia ha colpito tutto il mondo con effetti analoghi sul Pil delle singole nazioni ma, se la storia degli ultimi anni si ripeterà, molti di questi Paesi risaliranno presto ai valori del 2019, mentre per noi tale obiettivo è poco più che un augurio.

Dobbiamo prendere atto che la «stagnazione secolare» di cui si ipotizza da un qualche tempo per il futuro degli Stati Uniti o la «decrescita felice» di alcuni pensatori, per l’Italia è già una realtà. Insomma, se andrà tutto bene e se riusciremo a contrastare gli effetti del crollo demografico e dell’invecchiamento della popolazione, eviteremo un’ulteriore decrescita e ci stabilizzeremo.

Preso atto di ciò, la domanda che ci si pone è: possiamo costruire una società migliore anche senza crescere? Possiamo dare alle nuove generazioni obiettivi e speranze che non siano più legate ai soli processi di accumulazione? Se la risposta fosse negativa non saremmo di fronte solo a una decrescita nella ricchezza prodotta ma a un vero e proprio declino. Ecco perché la questione è capire quando la decrescita porta con sé anche la decadenza di un Paese. Si è in decadenza o in declino, a mio avviso, quando, in aggiunta all’involuzione economica, si assiste anche a un impoverimento nella qualità dei beni essenziali, alla crescita delle disuguaglianze e all’imbarbarimento della convivenza. Per essere più precisi, è decadente una società che presta poca attenzione ai sistemi educativi e della salute, alle infrastrutture, che è dotata di un sistema normativo e giuridico aggrovigliato, poco chiaro e privo di certezze, che seleziona la classe dirigente per fedeltà e non per merito, che frena la mobilità sociale, che indebita le future generazioni per esigenze ripetute di spesa corrente. In altre parole, una società che crea disuguaglianze nei punti di partenza, che pregiudica il futuro dei più giovani. Finora la crescita economica è stata la risposta a tutto, anche se a prezzo di un incremento delle disuguaglianze: se la torta cresce, si è detto, anche il più povero ha qualcosa in più anche se è più lontano dal ricco.

Per l’Italia, mentre la decrescita, purtroppo, è dimostrata dai fatti e dai numeri, la decadenza dipende solo da noi. Voglio essere chiaro: si comprende una risposta d’urgenza all’emergenza indotta dalla pandemia ma se poi non si affrontano i nodi sopra richiamati e non si inverte la rotta il destino è segnato. Il Paese avrà sempre meno risorse per una buona istruzione ai giovani, per curare bene le persone, per dotare le imprese delle infrastrutture e di una fiscalità per competere. Tutto ciò non è un presagio ma un processo che è già iniziato dopo la crisi del 2008 quando noi, pur generando un gran debito pubblico, e nonostante un’elevata pressione fiscale, abbiamo tagliato sanità, ricerca e infrastrutture quando, viceversa, Francia e Germania hanno fatto il contrario. Se queste scelte dovessero ripetersi, anche dopo la crisi indotta dal virus, così interpreto il pensiero di Draghi, al declino non potremo più sfuggire e la decrescita economica sarà solo una componente di qualcosa di più grave.

Un tempo, si è coniato il termine «Paesi in via di sviluppo» per indicare le aree del mondo che presentavano un tenore di vita basso, una scarsa base industriale, poca accumulazione di capitale e un basso indice di sviluppo umano. Molti di questi Paesi ora sono economie avanzate, cioè si sono finalmente sviluppati. Speriamo allora di non dover inventare una nuova dicitura per indicare i Paesi che erano sviluppati un tempo ma che si incamminano a non esserlo più. Per evitare questa deriva all’Italia serve uno scatto, l’idea di un’Europa come opportunità e non come salvadanaio, qualche azione forte nella giusta direzione che corregga le disuguaglianze, che incentivi il lavoro e non la rendita, l’impegno e non l’ozio, la preparazione e non l’incompetenza. Solo così, evitato il declino, riusciremo probabilmente ad arrestare anche la decrescita.

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