Il governo respira
ma Renzi non molla

Per quanto criticata da molti, la visita-lampo di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio a Bengasi per andare con le trombe a riprendersi i pescatori di Mazara del Vallo finalmente liberati dai libici, ha dato un poco di respiro al governo in un momento di tensione politica e in una giornata segnata persino da un terremoto a Milano, come se non bastassero i guai della pandemia. Al mattino il rinvio delle decisioni sul Natale in tempo di Covid, nel pomeriggio l’attesissimo incontro con la delegazione di Italia Viva e il suo leader Matteo Renzi: Conte naviga a vista ma lo fa con l’abilità dell’abilissimo giocatore che taluni chiamano trasformismo, altri direttamente cinismo politico. Ma tant’è.

Sulle regole per il Natale il presidente del Consiglio ha mediato tra quanti vorrebbero una Italia trasformata interamente in zona rossa per tutto il periodo delle Feste e chi invece chiede un quadro di divieti e permessi variabili: il Consiglio dei ministri è previsto per oggi ma ieri, all’incontro con le Regioni il ministro Boccia è stato costretto a scusarsi: «Non siamo ancora pronti»… già, il viaggio a Bengasi. Naturalmente l’opposizione, Salvini, la Meloni, immediatamente hanno sparato alzo zero sul ritardo, l’incertezza e per certi aspetti il vero e proprio caos di regole nuove e vecchie, di ipotesi dei giornali e di testi ufficiali in cui finisce che il governatore del Veneto Zaia vada avanti da solo e decida il suo lockdown regionale.

Poi, la questione Renzi. Dopo tanto tuonare, Italia Viva si è presentata a Palazzo Chigi e c’è rimasta quaranta minuti, neanche un’ora. Il tempo di consegnare il documento ultimativo del partito al governo e poi alzarsi e girare i tacchi. Chiosa la ministra Bellanova: «Senza risposte, non tarderanno le mie dimissioni». Che una tosta come la ministra dell’Agricoltura non abbia problemi a tornare a casa, è fuor di dubbio. Che questa sia la vera intenzione del suo leader Renzi è invece ancora cosa da accertare. Lui naturalmente ribatte alle tante maliziose interpretazione del suo comportamento ripetendo che gli interessa «la politica e non le poltrone» e che anzi le poltrone delle sue ministre e dei sottosegretari sono pronte per essere abbandonate dai titolari, se così si decide: «Dipende da Conte». Conte, uomo aperto e chiuso a seconda dell’interlocutore, di risposte chiare non ne ha ancora date. Per esempio sul Mes sanitario. Renzi lo chiede con forza, il Pd pure, ma il premier continua a tirarla alle lunghe, rinviando a dopo la legge di Bilancio come in precedenza aveva rinviato alla presentazione del Recovery Fund e così via. Oppure sulla cabina di regia dedicata alla spesa dei 209 miliardi messi a disposizione dalla Commissione europea: Renzi (ma anche il Pd) vuole che si azzeri tutto e si ricominci da capo a pensare come organizzare la «stanza dei bottoni» italiana; Conte promette qualche modifica ma non è chiaro quanto radicale.

Ora, la domanda è: fino a che punto il senatore di Rignano Fiorentino si contenterà di risposte contenenti compromessi puramente verbali da parte del capo del governo? Ecco, dipende da cosa vuole veramente, da quali obiettivi si è dato. Uno lo ha già raggiunto: conquistarsi una centralità (provvisoria) che la sua forza elettorale e parlamentare non è sufficiente a garantirgli. Il resto non si sa veramente bene in cosa consista. Se voi ascoltate Giorgia Meloni, tanto per fare un esempio, si farà un elenco di nomine da fare (a cominciare dai servizi segreti e non solo) da cui Renzi non vuole restare tagliato fuori. Ma potrebbero essere malizie tipiche dell’opposizione. «Noi vogliamo solo la politica per l’Italia» ribatte Renzi, appunto. Ma quanti gli credono?

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