Il nodo tempi e dirigenti
all’altezza per la crisi

Nella gestione della crisi diventa sempre più evidente l’importanza del fattore tempo. Il tempo lungo che ancora ci attende per uscire dalla fase di contenimento dell’epidemia. Ma anche il tempo stretto delle decisioni e della loro applicazione. Al governo e alle amministrazioni territoriali si chiede di essere tempestivi e veloci. Richiesta legittima, che sale dagli ospedali, dai cittadini in semi clausura, dai luoghi nei quali si lavora per il prossimo. Tutto il Paese sta facendo – in trincea, nelle retrovie, nelle case – uno sforzo immane per contribuire a superare la pandemia. A cominciare dal governo nazionale e da quelli locali. I provvedimenti si susseguono, inevitabilmente si accavallano, talvolta si sovrappongono fino a contraddirsi. È un’evenienza da accettare, sperando che si facciano rapidamente strada modalità univoche e concertate tra le autorità pubbliche. Ciò favorirebbe l’incisività tanto delle restrizioni quanto degli interventi a sostegno di cittadini, lavoratori, imprese e attività di servizio.

In queste settimane concitate si alzano da più parti lamentele contro le lentezze burocratiche: mascherine che mancano, macchinari che non arrivano, sussidi e sostegni economici che tardano a vedersi. La collettività pretende che le misure decise dai governanti prendano subito corpo. Tutto vero, ma prendersela genericamente con la «burocrazia» non serve a nulla.

Occorre distinguere per evitare guasti ulteriori. Se per burocrazia si intendono gli addetti alle strutture pubbliche, a nessuno sfugge che ci sono quelli che si inguattano. Ma molto più numerosi sono coloro che stanno in prima linea a rischio della vita o che, anche negli uffici più remoti, fanno con abnegazione il loro dovere. Tutti sono «servitori dello Stato», che hanno giurato fedeltà alla Repubblica e ai quali è richiesto - lo dice la Costituzione - di adempiervi con «disciplina ed onore». Se ci si riferisce agli apparati pubblici, non vi è dubbio che vi siano tanti uffici inutili o sovradimensionati, ma anche strutture pubbliche a corto di personale. Il caso dei medici e degli infermieri ne è la prova lampante. E la colpa non è certo di chi lavora negli ospedali ma delle scelte politiche che hanno portato a sguarnire reparti, a ridurre posti letto, a lesinare le risorse sulle attrezzature altamente specialistiche. Nel settore pubblico - a cominciare da quello sanitario - abbiamo, nel contempo, eccellenze di livello mondiale, tanto nel campo della ricerca quanto in quello dell’attività pratica.

Cosa è, dunque, che riduce l’efficienza di molte amministrazioni pubbliche e inficia l’efficacia del loro operato? In primo luogo una complessiva arretratezza tecnologica, in special modo nella distribuzione delle reti. Il panorama è a macchia di leopardo con amministrazioni totalmente in rete e altre nelle quali a stento si possono inviare le mail. Nel complesso, rispetto agli altri Paesi industrializzati, la diffusione e la velocità delle reti internet è tremendamente carente. Tanto che basta un picco di connessioni a mandare in tilt anche le strutture pubbliche più grandi. Il caso recentissimo dell’Inps lo dimostra. Analogamente, i generosi tentativi di sopperire alla chiusura delle scuole con la didattica on line sconta il deficit di risorse in molti istituti scolastici. Ma il problema più serio è il cumulo di norme troppo minuziose, sovente inutilmente complicate, difficili da capire, sia per i cittadini, sia per gli stessi addetti. Nella situazione presente le scusanti non mancano, date le condizioni nelle quali il governo è costretto a operare. Per ottenere efficienza nel settore pubblico c’è una questione da affrontare: il ricambio radicale nelle posizioni di vertice. Altrimenti la ripresa diventerà molto più lunga e difficile. Servono dirigenti all’altezza nei pubblici uffici. Molti lo sono già, altri vanno trovati.

© RIPRODUZIONE RISERVATA